In Vaticano il problema non è il killer

Il problema non è il complotto per ucciderlo. E nemmeno le dimissioni, scenario evocato da ultimo da monsignor Bettazzi. Della possibilità che Papa Ratzinger potesse dimettersi avevano già parlato altri e da tempo. Ognuno comprende che non sarebbe comunque un fatto ordinario, il Papa non è un consigliere d'amministrazione e non a caso Celestino V è ancora così citato.
Anche l'attentato mortale, che nella lettera pubblicata dal Fatto non si capisce sulla base di cosa venga dedotto da chi l'ha scritta, sarebbe evento straordinario, malgrado i precedenti del killer turco e del mistero sulla fine di Papa Luciani. Il problema vero, assai meno cruento, è sotto gli occhi di tutti, anche se non sta in prima pagina perché non farebbe impennare le vendite. Il problema è la caduta verticale di autorevolezza e di forza politica di questo Pontefice. Può essere un teologo di grande spessore ma decisivo è il confronto fra l'esordio del suo papato e la cronaca di oggi, non solo per gli scandali finanziari e le vicende di pedofilia. Valga l'esempio del suo famoso discorso di Ratisbona: gli eventi successivi hanno mostrato come non fosse l'inizio di una fiammeggiante «guerra culturale». Piuttosto, una marchiana gaffe diplomatica. La situazione ha prodotto due effetti: la delusione di Giuliano Ferrara e una situazione di sconcerto e di anarchia che ha cominciato da tempo a manifestarsi in Vaticano. Delle due è probabilmente quest'ultima la conseguenza che creerà più problemi alla politica.
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