Vantaggi e insidie nella nuova fase del Berlusconi governante

Dopo che Silvio Berlusconi ha ritrovato, non senza qualche esitazione, il centro della scena governativa, il clima si è subito fatto meno fosco. Ma come si dice in questi casi, nulla sarà più come prima. Non si tornerà a prima della frattura decisa da Fini e dell'incrinatura minacciata da Bossi. Una tenaglia in cui la maggioranza ha corso davvero il rischio di dissolversi. A questo punto, e a breve termine, il presidente del Consiglio ha imposto ancora una volta la sua regola. Il che significa che ha evitato le elezioni a breve termine, ossia entro la fine dell'anno. Tuttavia a rigore non ha ancora scansato il maggior pericolo: che la «sfiducia» leghista provochi prima o poi una crisi di governo, obbligando il premier alle dimissioni e lasciando di conseguenza le carte del gioco nelle mani di altri. Senza dubbio in quelle del capo dello Stato, come è logico; ma in termini politici in quelle di Bossi, libero di modulare il superamento della stagione berlusconiana e di gestire da posizioni di forza la fase elettorale e i nuovi equilibri di governo.
L'uscita da Palazzo Chigi - oltretutto in seguito all'autoaffondamento della maggioranza - comporterebbe per Berlusconi la perdita non solo del potere, ma anche dell'influenza politica sui destini del centrodestra. Da un giorno all'altro, l'uomo che ha dominato 16 anni di vita italiana si troverebbe prigioniero degli alleati di ieri, diventati di fatto avversari. Oggi però il quadro è meno sfavorevole, almeno sulla carta. Dopo gli strappi Gianfranco Fini avrà interesse a un momento di tregua parlamentare (e a sua volta il vertice del Pdl non potrà insistere più di tanto sulle dimissioni dalla presidenza della Camera).
Quanto a Bossi, dovrà rinviare di qualche mese la campagna elettorale: il che può apparire un infortunio tattico, ma in realtà il capo nordista ha recitato fino in fondo la parte che gli si addice e che manda in visibilio il suo popolo. Qui finiscono i punti a vantaggio del premier e cominciano le spine. In primo luogo Berlusconi è consapevole di non potersi fidare del gruppo di «Futuro e libertà». Sarebbe strano il contrario. Il voto di fiducia è garantito, ma la speranza di una maggioranza autosufficiente alla Camera, tale da rendere ininfluente il drappello finiano, assomiglia a un'illusione.
Il presidente del Consiglio dovrà esercitarsi nei prossimi mesi in un serio lavoro di mediazione. Poi c'è il problema della Lega, o meglio di Bossi. L'incrinatura in un rapporto politico e personale che ha segnato la storia del paese in questi anni è evidente. Il Carroccio si muove verso nuovi scenari e anche di questo Berlusconi sembra cosciente. Il patto con un Bossi irrequieto, e ormai emancipato dal rapporto con il premier, andrà rinegoziato con molta pazienza. Pur sapendo che si tratterà in ogni caso di un patto provvisorio, in attesa che maturino inediti assetti in cui la Lega spera di svolgere un ruolo ancora più determinante. Sullo sfondo s'intravedono altre questioni. I nodi programmatici, in primo luogo. Il federalismo da definire. I provvedimenti per l'economia non rinviabili, dal momento che si va comunque verso le elezioni. E non va sottovalutata la campagna trasversale (e di opinione pubblica) per la riforma legge elettorale in senso uninominale in cui è impegnato Marco Pannella. Pochi le danno credito, ma il tema esiste. E non sarebbe la prima volta che il sasso provoca la valanga.
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