Va in missione il milite assolto

Non è solo un sì quasi bipartisan (con le eccezioni di dipietristi e radicali) al rifinanziamento delle missioni militari, quello che è arrivato ieri dal senato italiano e che di gran carriera arriverà dalla camera nei prossimi giorni. Ben nascosto negli angoli bui del provvedimento c`è il rinvio di un anno e mezzo dell`elezione dei rappresentanti dei militari, frutto di un accordo bipartisan perché - ma nessuno si azzarda a dirlo chiaro e tondo - fra i militari non si è raggiunta ancora un`intesa per il rinnovo delle cariche. E non solo: fra le mille sorprese del testo approvato, spunta fuori una bella mano alla garanzia di impunità per legge dei militari che compiono reati nel teatro di guerra. Un provvedimento inedito, che viene incontro alle richieste - mai troppo esplicite - dei vertici militari, e che i senatori hanno affrontato come un voto di routine. Nel primo pomeriggio di ieri Palazzo Madama ha pronunciato il sì alla conversione del decreto, che peraltro avrà effetto per soli due mesi. Il prossimo 29 gennaio il problema si riproporrà, anche se con il governo Berlusconi (e grazie al soccorso «democratico») non è più tempo di patemi d`animo per questo genere di provvedimenti. Dunque, è arrivato il sì ormai consueto, annunciato, di Pdl, Lega e Pd («per senso di responsabilità», dice Roberto Di Giovan Paolo, senatore cattolico solitamente schierato fra i pacifisti). Un`astensione altrettanto annunciata quella dell`Italia dei valori, «contro la guerra in Afghanistan», che ha provocato la rivolta delle opposizioni. Francesco Rutelli in aula ha persino dichiarato «rotta» l`alleanza con Di Pietro a nome di chi, poi; è un mistero, visto che lui ha lasciato il Pd - e l`ex pm ha convocato su due piedi una conferenza stampa per replicare: «Ma come? Loro votano un provvedimento della maggioranza, e noi siamo quelli che aiutano Berlusconi? Ma si guardassero allo specchio». I due radicali eletti nel gruppo Pd, Marco Perduca e Donatella Poretti, invece, non partecipano al voto. L`insufficienza della nostra politica «afghana» l`ha spiegata il giorno prima in aula Emma Bonino: praticamente c`è solo la risposta militare - cui i radicali non sono certo contrari -, nessuna azione positiva per dar seguito alle molte decisioni nazionali ed europee, per esempio per deviare il business del papavero «che potrebbe essere comprato, ridotto a morfina, come accade per la Turchia, l`Australia o la Spagna e altri paesi ancora». E invece il «tabù ideologico» è di fatto il regalo più grosso per le narcomafie. Ma c`è anche di meglio, spiega in aula Perduca C`è la norma «incostituzionale» che impedisce al personale militare di rinnovare con elezioni i propri organi rappresentativi. E soprattutto ci sono quegli emendamenti, presentati alla spicciolata dai senatori Pdl - Pierfrancesco Gamba, Achille Totaro, persino dal relatore, l`ex generale Luigi Ramponi - che passano (con i voti contrari di radicali e Pd) e che modificano in peggio, se possibile, il provvedimento. In sostanza la legge votata sottrae alla giustizia ordinaria i militari che sbagliano. Ma che sbagliano di grosso: le fattispecie sono del calibro dell`omicidio colposo, o dei reati contro l`ambiente. È raro che un giudice apra un`inchiesta sui reati compiuti nelle missioni, per il nostro paese ì casi sì contano sul- le dita di una mano. Ancora più raro che l`inchiesta finisca con una sentenza. Ma è - o meglio, era, se la camera conferma - la spada di Damocle che pende su chi maneggia le armi in zona di guerra: i famigerati «effetti collaterali», locuzione tecnica d`uso corrente per evitare di chiamare con il loro nome le morti dei civili, o l`inquinamento irreversibile delle aree martoriate dai bombardamento, il testo, all`articolo 4, dice: «Non è punibile il militare che, nel corso delle missioni (...) in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente emanati fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per le necessità delle operazioni militari». No, dice Perduca «La nostra opinione è che chi sbaglia paga, e non solo in zone di guerra». «Ma tanto più in quei posti, proprio perché sosteniamo di essere impegnati a dare un messaggio di pace, e cioè di giustizia, non possiamo offrire alle popolazioni locali il sospetto che tendiamo a non punire chi è indagato per aver compiuto un reato. In quel caso, serve sospendere le persone, aprire un procedimento giudiziario, e dare un esempio immediato, e un messaggio chiaro e comprensibile alle popolazioni civili».
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