Uno schiaffo al Paese

Dalla Rassegna stampa

Che in Parlamento tirasse una brutta aria era evidente fin dalla settimana scorsa. Il Sole 24 Ore aveva lanciato l'allarme venerdì: troppe riforme in mezzo al guado, tempi strettissimi prima dello scioglimento delle Camere (previsto intorno al 20 gennaio), un clima politico già da campagna elettorale.

Una denuncia rilanciata al massimo livello dal capo dello Stato, che lunedì ha invitato le forze parlamentari a non vanificare quanto di buono fatto finora.
La risposta del Parlamento è arrivata ieri. E non poteva essere più negativa. Proprio la delega fiscale, forse il provvedimento più importante – con la legge di stabilità – di quelli all'esame delle Camere, è stata riportata in Commissione, mettendo seriamente a rischio la sua approvazione.
Uno schiaffo al Paese, prima ancora che al Governo e allo stesso Quirinale. La delega è infatti una riforma che, a costo zero, può aiutare a rendere il fisco meno oppressivo (e recessivo), a semplificare i rapporti tra cittadini e amministrazione tributaria, a dare più certezze alle imprese, favorendo quindi gli investimenti e magari un po' di crescita economica. Non si possono sostenere nei dibattiti televisivi le giuste ragioni dello sviluppo e della lotta alla persecuzione fiscale e poi, al momento di votare in Parlamento, fare scelte in senso contrario.

Tanto più che appaiono indefinite le ragioni di merito per lo stop al provvedimento. Un autorevole membro della maggioranza ieri commentava il ritorno in Commissione con queste parole: «Ma per discutere di cosa?». Certamente non c'è accordo tra Governo e senatori sull'accorpamento delle agenzie fiscali, così come sul catasto prevalgono ancora divergenze, ma il possibile affossamento della delega è in realtà l'effetto di un generico sentimento contro il Governo – e contro le sue riforme – che va prevalendo in una maggioranza confusa e già proiettata verso le elezioni.
Un doppio schiaffo, dunque. O meglio uno schiaffo con aggravante. Per futili motivi, si direbbe con il Codice penale. Ed è un delitto vero azzerare la delega fiscale dopo un anno di lavoro nel Governo, con le parti interessate, in Parlamento.

Oggi le imprese e i cittadini sono schiacciati da un fisco che, oltre ad essere troppo oneroso, è anche barocco, poco certo e punitivo. Su questo siamo in fondo a tutte le classifiche internazionali. Nel recente rapporto Paying taxes 2013 della Banca mondiale, l'Italia è al sestultimo posto tra i Paesi Ue ed Efta per i tempi necessari agli adempimenti fiscali: duecentosessantanove ore all'anno, praticamente un'ora per ogni giorno lavorativo, contro le 59 del Lussemburgo, le 63 della Svizzera, le 110 del Regno Unito, le 120 della Francia, le 207 della Germania.
Perciò la delega fiscale è importante. Tra le sue norme c'è una forte semplificazione del sistema tributario, dalle operazioni transfrontaliere ai dividendi. C'è la stabilizzazione delle regole del gioco, con la definizione di un quadro di certezza del diritto straordinariamente importante per le imprese, italiani e straniere, chiamate a investire nel nostro Paese. C'è, infine, un primo tentativo di sovvertire il rapporto tra fisco e contribuente, passando da un sistema fondato sulle penalizzazioni a uno basato sulla premialità. Più collaborazione, dunque, tra cittadini e agenzia delle entrate, cooperazione preventiva, e non più controlli tanto opprimenti quanti inefficaci nel contrastare la vera evasione.

Buttare a mare tutto questo, in un'ordalia da fine legislatura, significa davvero prendersi gioco delle imprese e delle famiglie. Così come sarebbe grave lasciar morire il riordino delle province, il disegno di legge sulle semplificazioni, i decreti sui costi della politica e sullo sviluppo, sui quali tanto il Governo si è impegnato.
I tempi per l'approvazione sono certamente stretti e i percorsi del bicameralismo perfetto all'italiana sono complessi. Ma proprio per questo serve il massimo della responsabilità da parte delle forze politiche di maggioranza. Le riforme vanno fatte. Servono al Paese e, in fondo, sono anche utili ai partiti stessi per presentarsi agli elettori con le carte in regola.

 

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