Un'interpretazione internazionale del 25 Aprile

Dalla Rassegna stampa

 

Non c’è data come il 25 aprile, ricorrenza della Liberazione, adatta all’esaltare ragioni, uomini e idee dell’antifascismo, che dovrebbe essere punto saldante dei centrosx. In quel finire di aprile, ci fu la sollevazione dei partigiani, oggettivamente dominati dai social-comunisti, che qui precedettero i giorni o ore, là accompagnarono gli americani, invasori che scacciavano altri invasori, i tedeschi.
La Liberazione manifestò tutto l’odio contro l’invasore teutonico, che aveva fatto risorgere l’antica sollevazione risorgimentale, sempre nordista, contro gli austriaci di precedenti Reich; ed insieme l’odio per i ghibellini loro alleati, i fascisti, e la loro politica successiva alla guerra d’Etiopia, razzista, velleitariamente guerrafondaia, ma anche paradossalmente sansepolcrista, cioè anticapitalista e statalmente comunista.
Nel cercare di trovare radici nobili ai dissensi di Fini dal grosso della dirigenza dei Pdl, Oscar Giannino e lo scrittore Buttafuoco, uno si potrebbe dire di ascendenze repubblicane e l’altro repubblichine, hanno evidenziato come la minoranza che si stringe intorno all’ex leader An, sia fondamentalmente costituita da ex giovani rautiani.
Rauti, filosofo, politico, ai suoi tempi sempre pericolosamente ad un passo dal coinvolgimento nei gruppi terroristici di destra, era nell’Msi, di cui fu segretario per una stagione, il custode del pensiero di Ugo Spirito, maestro di Bottai e del fascismo corporativo, che rappresentava la linea assieme nazionalista, socialista, antiborghese, attivistica ed anticorruzione. L’altra vena culturale fascista, largamente istituzionale era quella di Gentile che muovendosi tra Hegel e Croce, riprendendo la filosofia pragmatica mazziniana di Dio e Popolo, plasmava un’accomodante Stato etico pronto ad abbracciare tutto ed il contrario di tutto a patto di rispettare la leadership.
Il problema di Rauti e dei rautiani, come furono anche i gruppi di Marco Tarchi o dell’assessorato alla
cultura di Roma Croppi, era che la linea del fascismo corporativo in fondo era l’unica che avesse senso nel quadro fascista, ribadendo le similitudini se non identità tra i grandi movimenti nazionalisti rivoluzionari formatisi nei paesi messi in crisi irreversibile dopo la prima Guerra mondiale: Germania, Russia, Italia. Questo quadro culturale permise così facilmente all’intero mondo di intellettuali e quadri politico sindacali di passare da un estremo all’altro, dal comunismo di destra corporativo al comunismo di sinistra statale. Questo fu anche il problema dell’Msi che grazie alla vena ideologica nazional socialista, tanto più dannata, potè mantenere in decenni di condanna e ghettizzazione il suo seguito, ma non potè mai sfondare come partito conservatore. E Fini, quando riprese il controllo del partito grazie alla vedova Almirante, lo fece proprio in senso antirautiano, cioè in senso moderato teso a mischiare nazionalismo e patriottismo, populismo antiborghese di destra e conservatorismo filofamilìare. Ed era comunque chiaro che il partito conservatore, churchilliniamente parlando in Italia sarebbe rimasto il partito cattolico, anch’esso peraltro spalmato tra destra, centro e sinistra.
Buttafuoco e Giannino ricordano questa vicenda; e ricordano come i rautiani, simili nei metodi, nei tic e nelle abilità agli estremisti di sinistra, privi solo a differenza di questi ultimi, del sostegno della moda del tempo e dell’ospitalità dei salotti, si siano corazzati intellettualmente e dialetticamente. Paragonati
a tanti della politica e della cultura del campo del centrodx sono dei giganti, come sono anche altri gruppi minoritari, quali quelli radicali o socialisti. E come questi sono però riusciti nella nuova definizione di partito conservatore alla Berlusconi, che ha inglobato parte dell’ex centrosinistra, a piazzarsi ai vertici. Fini, che in sè per sè è sempre stato solo un’opaco nazionalista, coinvolto nella lotta per la leadership del neo partito conservatore, ha finito per trovare con sè quei quadri e pensatori, idealisti della politica e dell’architettura intellettuale che la sostiene, che portano con sè un patrimonio antiliberale ma fortemente sociale, facilmente capacedi contiguità con parte del mondo ex comunista. E’ probabile che Fini accetti di farsene capo, pur non comprendendoli e che non comprenda che posizionandosi come neo
Rauti, con tanti aspetti di rigidità su etica e diritti, rinunci per sempre al ruolo gollista sognato. II 25 aprile attuale, viene così conteso tra parti anticamente estremiste, sociali unitarie ed antidemocratiche: la comunista e la fascista, quando invece sul terreno politico oggi sono ambedue sconfitte, il che brucia più a sinistra che ancora conta capisaldi importanti. dagli istituti gramsci all’anpi, ai vari circoli resistenziali, mentre a destra già non sentirsi dare del dannato è gran cosa.
Ed in realtà Berlusconi doppia e fa suo il secondo 25 aprile, il primo in nome della conciliazione, il secondo, mentore l’ex comunista Napolitano, in nome della libertà. L’operazione senza darlo a vedere condanna i partigiani socialcomunisti che volevano sostituire il duce nostrano con il vogd straniero ed esalta gli Usa in nome - come si diceva un tempo dell’usbergo delle libertà, quelle libertà laiche e liberali che invece tutt’oggi non trovano sostegno maggioritario tra i popoli cattolico, leghista, socialdemocratico e postfascista. Napolitano cerca di dare forza al 25 aprile come recupero dell’unità dopo la divisione di quasi due anni in regno e repubblica e quindi come evento legato alla vicenda risorgimentale. E qui resta il vuoto tutto ideologico: come non si volle e non si vuole ammettere le identità dei regimi dittatoriali nati tra le due guerre, così non si vuole vedere come il fascismo fu la naturale conclusione di un Risorgimento che non era affatto nè liberale, nè con i piedi per terra e che non amò i modi e le guerre in cui si raggiunse l’agnognato obiettivo ma al contrario teorizzante missioni, nazionalismi e che solo nella dittatura risolse il binomio delle aspettative popolari con l’asfissia di una guida oligarghica notabilare. L’aver raccontato per decenni che quest’ultima era democratica come intendiamo oggi la parola è stato il segno di un bello scivolone intellettuale. Non c’è data come il 25 aprile, adatto al centrosx, ed invece dietro le bandiere di In di Rifondazione, del Pd, palestinesi, della Rete Antifascista, della Cgil e dell’Unione atei agnostici razionalisti, un gruppo dei centri sociali a Roma ha finito per colpire fisicamente tutte le parti in causa, Zingaretti, anpi e Polverini, fissando l’antifascismo militante di un tempo da sovrano a re delle bettole. Il centrosx più intelligente ed intellettuale, come si è visto, con astuzia cartacea dameliana cerca di rompere l’alleanza trasversale del centrodx dove può: non riuscita l’operazione con la Lega, D’Alema ha montato Fini indicandogli un percorso a lui non riuscito ed assolutamente estraneo per l’ex missino. D’altronde D’Alema gioca a tutto campo e riesce con lo spazio dato ai redattori di Radio Radicale da De Leo a Martini ed al direttore Bordin sul nuovo interprete, webtv del giornalismo internazionale, a provocare quasi una rottura tra Pannella e Bordin,
Chiaro che dietro la missiva mandata dall’80enne leader radicale a 15mila appassionati della platea del mezzo milione che segue la radio, c’è la volontà mediatica di attirare attenzione. Se gli altri hanno
le baruffe Berlusca-Fini, noi abbiamo quelle editore-direttore. Bordin che forse sospira per i tempi di intesa con la destra, lui che è rimasto un trotskista convinto, è il meno probabile tra i candidati ad un corrente dalemiana tra i radicali. Eppure ormai anche questo è un segno dei tempi: dovunque si affacci il baffino, è un levar di mani, un allungar di sospiri, è la peste, porta sfiga. Così tramonta Il 25 luglio antifascista tra sfigati e violenti da osteria

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