Unicredit ha scelto il Profumino che cercherà di tenere unita la banca

La fumata bianca in terra di Polonia è arrivata poco prima delle 17. Federico Ghizzoni da Piacenza, classe 1965, interista come Alessandro Profumo, è il nuovo ceo (in Unicredit non si usa parlare di amministratore delegato) del gruppo. Il banchiere ha battuto, contro i pronostici, la concorrenza di Roberto Nicastro da Trento. È questo il verdetto emerso dal consiglio dì amministrazione della banca in trasferta a Varsavia, ospite della controllata Banca Pekao. Ma in realtà i giochi erano già fatti nel comitato nomine presieduto in mattinata da Dieter Rampl. A favore di Ghizzoni si sono schierati gli azionisti che intendono salvaguardare l'unità della banca distribuita in 22 stati. Per Nicastro, secondo quanto trapela dalle stanze del consiglio, erano favorevoli in principio le fondazioni venete, forti della sponda bavarese che fu esiziale a Profumo: a Verona e Treviso, infatti, piaceva di più un'Unicredit "tricolore", più piccola ma per questo meno impegnativa in termini di richieste di capitale, pronta a cedere, in prospettiva, l'impero dell'est ai partner tedeschi e di Bank of Austria.
Alla fine, come quasi sempre è accaduto in Unicredit, a essere determinante per la scelta finale è stato il vicepresidente Fabrizio Palenzona, buon sangue de che dà il meglio di sé nelle partite di potere. Non a caso Palenzona s'era fatto vedere in giro per Milano con Andrea Orcel, Merrill Lynch, il primo della lista (destinato a non arrivare al traguardo). Poi, dopo aver fatto tesoro delle esigenze di Rampi, che aveva promesso una soluzione rapida a Banca d'Italia, ha forzato la mano a Paolo Biasi (Cariverona). Magari con il sostegno dei soci del fondo Blackrock, di Abu Dhabi e della Libia, più dell'11 per cento in tutto, cui interessa una grande Unicredit protesa verso l'est e il centro Asia, sulle rotte, del gas e dei petrolio, piuttosto che una banca commerciale attiva solo a Valdagno o ad Alessandria.
Ma è andata davvero così? Da ambienti vicini a Cariverona arriva una lettura diversa: come sempre, a forza di semplificare, si finisce per travisare la realtà. Al fronte veneto, anzi, preme far notare che la designazione di Ghizzoni è avvenuta "all'unanimità", come ha rimarcato ieri il vicepresidente, Luigi Castelletti, indicato proprio da Cariverona. Ghizzoni, bancario di lungo corso, in Unieredit fin dal 1980, è considerato il portabandiera della grande banca internazionale. Non solo perché, dopo gli esordi fin dalla gavetta (compresa la guida di filiali a Trieste e Limbiate), ha lavorato quasi solo all'estero, da Londra a Singapore, l'immancabile Polonia (tappa obbligata per i Profumo boys), e soprattutto in Turchia. Ma anche perché, una volta rientrato al quartier generale, Profumo gli ha affidato la grana dell'Ucraina, partecipazione a rischio che Ghizzoni ha sistemato. Attenzione: Ghizzoni ha fama di colomba, non di falco. Non a caso ieri il cda l'ha nominato anche per "la capacità di fare squadra".
E ieri Ghizzoni l'ha dimostrato con la sua prima dichiarazione, dedicata a Nicastro e Paolo Fiorentino, sconfitti nella corsa all'ad: "Spero che restino. Conto su di loro". Possibile che l'augurio venga esaudito: la nuova governance prevede ampi poteri per il direttore generale che avrà anche un posto in consiglio. Così, passati i dieci giorni che hanno sconvolto Unicredit, nelle mani di Ghizzoni e del presidente resta un'eredità complessa. La partita più urgente riguarda la titolarità delle quote in mano ai soci libici, ovvero la scintilla che ha fatto esplodere la rivolta arati Profumo. "Allo stato attuale recita la nota di Rampi calibrata anche nelle virgole - non sono pervenute, né appaiono altrimenti disponibili, informazioni che consentano di considerare, con la dovuta certezza, le due partecipazioni come autonome in relazione alle applicabili previsioni statutarie". Ovvero Rampl non è soddisfatto delle rassicurazioni di Farbat Omar Bengdara, governatore della Banca centrale di Tripoli, che ieri ha detto: "Non saliremo nel capitale di Unicredit: resteremo al livello attuale". Ma il problema posto da Mario Draghi è un altro: le quote della Banca centrale e del fondo Lia, in tutto più del 7 per cento, fanno capo o no allo stesso socio di controllo, cioè a Muammar Gheddafi? In tal caso potrebbe scattare la decisione di congelare i diritti di voto nella banca al 5 per cento. Nonostante le inevitabili proteste diplomatiche, magari una ritorsione sulla licenza bancaria in Libia di Unicredit, ultimo effimero successo di Profumo. E primo problema della gestione Ghizzoni.
© 2010 Il Foglio. Tutti i diritti riservati
SEGUICI
SU
FACEBOOK
SU