Una soluzione di buon senso

Non sarebbe facile spiegare all'Europa, ai mercati finanziari e all'opinione pubblica italiana una crisi del governo di Mario Monti scaturita da una lite sulla data del voto in tre Regioni travolte dagli scandali. I primi ad avere qualche imbarazzo nel conferire razionalità a quella che apparirebbe una follia politica sarebbero probabilmente gli stessi partiti della maggioranza. Il sussulto muscolare, seppure in tono minore, ingigantirebbe la loro immagine di debolezza; e il distacco da una realtà tuttora in bilico, ostaggio della crisi economica.
Si coglie uno scarto vistoso e preoccupante fra una forte pressione internazionale, europea ma anche statunitense, a garantire continuità alle scelte di politica economica dell'Italia; e la disinvoltura, finora solo verbale, con la quale c'è chi ritiene di liquidare un'esperienza di governo per calcoli elettorali e puntigli contrapposti. È come se l'avvicinamento alle urne portasse all'allontanamento dalla ragionevolezza: mentre ci si aspetterebbe il contrario. Eppure, è doveroso sperare che alla fine un compromesso si trovi; e che si eviti un esito traumatico della legislatura.
Altrimenti, andrebbe sciupato il tentativo compiuto negli ultimi dodici mesi di costruire pazientemente un altro percorso basato sulla prevedibilità, intesa come affidabilità, dell'Italia. Scaricare in extremis su Palazzo Chigi le convulsioni e le ambizioni dei partiti sarebbe il regalo finale a quella che, a torto o a ragione, viene definita antipolitica. Il Quirinale ritiene che ci siano alcuni mesi di legislatura da riempire in modo costruttivo e assennato: in primo luogo l'approvazione della legge di Stabilità e, se c'è un residuo di consapevolezza, la riforma del sistema elettorale.
Onorando questi due impegni, probabilmente il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, potrebbe anche acconsentire a sciogliere con un minimo di anticipo le Camere. Quello che vuole evitare a tutti i costi, è un'accelerazione che non sia condivisa e che ponga le basi per un altro periodo di instabilità dopo le elezioni. In caso di accordo, il capo dello Stato forse accorcerebbe di qualche settimana anche il suo settennato. Si sa che, precedenti alla mano, vuole lasciare la scelta del prossimo presidente del Consiglio al suo successore che verrà eletto dal nuovo Parlamento.
Può darsi che da qui a quel momento avvengano fatti nuovi, oggi imprevedibili: compresa l'ipotesi che Monti renda più esplicita la propria disponibilità a restare a Palazzo Chigi dopo il voto, come sperano la Casa Bianca di Barack Obama, le istituzioni finanziarie internazionali e le principali cancellerie europee. Ma senza gesti di responsabilità e di duttilità da parte di tutti fin dai prossimi giorni, il pericolo di una regressione diventa concreto. Ed è bene non farsi illusioni: un azzardo incomprensibile sarebbe sanzionato duramente a livello internazionale e dall'elettorato. In una fase così drammatica, il gioco del cerino brucerà le dita a tutti: e non solo le dita.
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