Una risorsa per l'Italia ecco cos'è l'immigrazione

Nel secolo scorso, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, centinaia di migliaia di giovani meridionali raccolsero le loro povere cose in una valigia di cartone, salirono su treni diretti al Nord e andarono a cercare lavoro nelle città del “triangolo industriale” o addirittura oltre confine.
L’accoglienza che ricevettero e le condizioni in cui furono costretti a vivere (grandi capolavori cinematografici hanno descritto questo esodo biblico) non furono certo migliori di quelle offerte agli immigrati dei nostri giorni. Eppure, senza di loro, il “miracolo economico” si sarebbe subito spento e l’Italia – un Paese distrutto dalla guerra e privo di materie prime – non avrebbe mai potuto trovare posto e rimanere tra le prime nazioni più sviluppate del mondo.
A scorrere, oggi, gli elenchi telefonici di Milano e Torino si trovano le tracce di quegli eventi in tanti cognomi che ricordano origini lucane, pugliesi e quant’altro.
Quello delle migrazioni interne è stato solo l’ultimo capitolo – neppure il più doloroso – di una storia secolare che ha visto milioni di italiani andare alla ricerca di un futuro più dignitoso in ogni angolo del mondo, al di là dei mari e degli oceani.
Oggi, il nostro Paese ospita, secondo le più recenti statistiche, quattro milioni di cittadini stranieri residenti, circa il 6,5 per cento della popolazione (era al di sotto del 3 per cento nel 2001 e pari allo 0,1 per cento dieci anni prima), mentre la quota degli occupati sale ormai al 7,5 per cento come dato medio, con punte più elevate nelle regioni più ricche e sviluppate (nel Centro-Nord il numero degli immigrati è di quattro volte superiore a quello del Sud).
Senza il lavoro degli stranieri, interi settori dell’economia (agricoltura, turismo, costruzioni, servizi alla persona, ma anche comparti dell’industria manifatturiera) incontrerebbero delle enormi difficoltà. In Italia, infatti, vi è ormai un gap strutturale tra domanda e offerta di lavoro – soprattutto nelle regioni del Centro-Nord – in conseguenza degli andamenti demografici (da anni in Italia nasce la metà dei bambini che nascevano negli anni Sessanta e vanno in pensione – e magari continuando a lavorare in altre forme non sempre regolari – più persone di quelle che sono pronte e disposte a entrare nel mercato del lavoro). Inoltre, molti degli impieghi disponibili vengono rifiutati dalla manodopera nostrana.
Nel primo semestre dell’anno in corso, rispetto a quello del 2008, è continuata a crescere l’occupazione straniera (+92mila uomini e +110mila donne) a fronte di un calo di ben 494mila occupati italiani. Nel primo trimestre i nuovi occupati stranieri erano stati 222mila. Si tratta sicuramente di dati statistici spuri, da attribuire in parte alle regolarizzazioni nel lavoro domestico e di cura (il settore dei servizi alla persona ha avuto un incremento del 7,8 per cento); ma i processi in atto nel mercato del lavoro mettono in evidenza che, pure in un periodo di crisi come l’attuale, gli italiani non si prestano a sostituire gli stranieri nelle mansioni da loro svolte. Ecco perché questi ultimi non sottraggono il lavoro a nessuno.
Secondo uno studio della Confindustria, nel 2008, nelle regioni centro-settentrionali oltre i tre quarti degli occupati stranieri maschi residenti erano operai, una percentuale più che doppia rispetto a quella degli italiani. L’occupazione femminile straniera era invece concentrata nei servizi alle famiglie (43 per cento nel CentroNord e il 57 per cento nel Sud). Secondo un’altra ricerca confindustriale, condotta, nel 2007, presso 400 aziende associate nella provincia di Milano, quasi la metà delle stesse aveva nel proprio organico lavoratori stranieri in misura del 20 per cento in più rispetto all’anno precedente; molti di loro erano inseriti sia in attività esecutive, sia in funzioni più elevate.
L’apporto lavorativo degli stranieri, nell’anno 2006, era stimato pari ad oltre 122 miliardi di euro (9,2 per cento del Pil). Il gettito contributivo generato dal lavoro degli immigrati risultava, nel 2007, pari a 6,4 miliardi di euro tra i lavoratori dipendenti, 317 milioni di euro per gli autonomi e 242 milioni per i parasubordinati per un totale di quasi 7 miliardi di euro. Questo ammontare rappresentava circa il 4 per cento di tutti i contributi previdenziali versati in Italia.
Quanto al prelievo fiscale, i versamenti Irpef dei lavoratori stranieri assommano ad oltre un miliardo e 336 milioni di euro, cui vanno aggiunti circa 209 milioni di addizionali regionali e circa 60 milioni di addizionali comunali. Per quanto riguarda il lavoro autonomo il gettito ammonta a circa 204 milioni di euro. Dai dati relativi alle unità immobiliari acquistate dagli immigrati nel 2007 è possibile stimare i valori relativi a imposte ipotecarie, catastali e di registro per un valore totale di oltre 211 milioni di euro. Emerge, in conclusione, un gettito fiscale di oltre 3,1 miliardi di euro, mentre il reddito imponibile è in progressivo aumento: superiore a 21 miliardi nel 2007; erano 18,4 miliardi nel 2006 e 16,7 miliardi nel 2005.
Quanto al futuro, ecco le previsioni del recente rapporto dell’Unione europea sugli effetti dell’invecchiamento in una prospettiva di mezzo secolo. La popolazione in età di lavoro diminuirà del 17 per cento (già nel 2020 si annuncia il fabbisogno di un milione di stranieri in più, molti dei quali saranno già cittadini Ue). A fine periodo, l’Italia sarà il Paese mediterraneo con il maggior numero di immigrati residenti (12 milioni, tre volte quello attuale).
Il rapporto traccia, altresì, l’effetto di un ipotetico scenario “zero migration” sulla spesa pensionistica, cifrando un 2 per cento in più sul Pil nel 2060. Secondo il medesimo scenario – da oggi al 2030 – nei principali Paesi europei la popolazione complessiva diminuirebbe di 27 milioni, quella in età lavorativa di 20 milioni, gli ultrasessantacinquenni sul complesso della popolazione salirebbero al 26,5 per cento, sulla popolazione compresa tra 20 e 64 anni al 44 per cento. L’immigrazione, dunque, rimanda, nel tempo, l’invecchiamento della popolazione e ne rallenta il conseguente declino.
Processi di siffatte dimensioni indicano che l’immigrazione è certamente una necessità, ma può diventare, malgrado i problemi, un’importante risorsa. Sempre che l’integrazione sia corredata da un contesto di diritti non solo economici e sociali, ma anche civili e politici. Gestire tale complesso fenomeno con un regime di sostanziale apartheid sarebbe illusorio, prima ancora che ingiusto.
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