Una poltrona per due in Iraq

Turbolento rush finale, ieri, nella conta dei voti alle elezioni legislative irachene del 7 marzo scorso. Quando manca il 5 per cento da scrutinare, il primo ministro uscente, Nouri al Maliki, si vede superato di circa 11.300 voti dallo sfidante Iyad Allawi, l'ex primo ministro sciita a capo di una coalizione che ha conquistato anche il sostegno della minoranza sunnita. Allora al Maliki chiede il riconteggio delle schede - appoggiato dal presidente Talabani e dai governatori di nove province sciite - ma la Commissione elettorale centrale dice no: ricontare tutto da capo è impossibile - sono 50 mila seggi con 350 mila scrutatori - e non necessario, dati i controlli anti-brogli. In serata, però, con il procedere dell'ultimo spoglio, al Malitri sembra aver riguadagnato
il vantaggio su Allawi, e con 188 mila voti in più.
Su questo quadro già complicato si staglia l'ombra dello scontro tra arabi e curdi, perché in Kurdistan arretra l'alleanza che fa riferimento al presidente iracheno Jalal Talabani e crescono formazioni più radicali. E anche lì fa incetta di voti tra la minoranza sunnita di Allawi, mentre l'Alleanza curda perde consenso in favore della Lista per il cambiamento (Gurran) e dell'Unione islamica. Turkmeni e cristiani raccolgono le briciole e si alleeranno probabilmente con Allawi.
Sul tappeto ci sono la sorte dell'importante città petrolifera di Kirkuk, che i curdi vorrebbero annessa al Kurdistan e i limiti dell'autonomia della regione, che oscilla sempre tra integrazione e fuoriuscita dallo Stato federale iracheno. Se alla fine Al Maliki non riuscirà a ottenere la maggioranza assoluta dei 325 seggi del Parlamento, i partiti curdi torneranno a giocare un ruolo di primo piano nella partita delle alleanze. E presenteranno il conto.
Nell'attesa, i leader delle più importanti formazioni sono già nel Kurdistan, per cominciare le trattative e portare i curdi dalla loro parte. E' arrivato lo stesso Allawi, seguito dal vicepresidente iracheno Tareq Al Hashimi (Lista nazionale irachena), che aspira alla presidenza della Repubblica al posto del curdo Talabani e sarebbe pronto a concedere Kirkuk al Kurdistan. Allawi, che punta a fare il primo ministro, avrebbe offerto maggiori concessioni nella divisione dei proventi petroliferi, questione irrisolta che sta mettendo a dura prova il fragile federalismo iracheno. Al Hashimi e Allawi sono d'accordo su un punto: negare ad Al Maliki un secondo mandato da premier, anche se arrivasse primo alla conta finale dei voti.
I curdi questa volta sono divisi, come non lo erano mai stati dalla caduta del regime di Saddam Hussein, che avevano combattuto strenuamente pagando un altissimo prezzo. Soprattutto
l'ascesa della Lista per il cambiamento (Gurran) potrebbe far saltare gli equilibri, anche se per il deputato curdo Mohsen Saadoun non si tratta di una «frammentazione» ma di una «diversificazione» democratica, dove le aspirazioni alla fine non sono molto diverse: divisione equa dei proventi petroliferi e un diverso statuto per Kirkuk.
I curdi rappresentano il 14 per cento della popolazione irachena e dalla fine della Prima guerra del Golfo, nel 1991, godono sostanzialmente di un autogoverno. I rapporti con Baghdad, però, sono peggiorati sotto l'esecutivo di Al Maliki, che ha detto no alla loro richiesta di gestire direttamente i proventi del petrolio.
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