Articolo di Massimo Franco pubblicato su Corriere della Sera, il 15/02/11
Le preoccupazioni per quello che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni chiama «l’89 del Maghreb» sono più acute di quanto appaiano. Paragonare la crisi in Egitto e Tunisia alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 sottolinea, più che l’epilogo, le incognite rappresentate da questi cambi di regime. Il contraccolpo politico sul governo italiano è ancora tutto da misurare. Ma certamente la ripresa massiccia degli sbarchi dei clandestini sulle coste siciliane può pesare sul futuro del centrodestra; e rivelarsi un elemento di accelerazione o di tenuta ulteriori della coalizione berlusconiana. Il dramma che si sta consumando già prefigura sia problemi interni che di rapporti con l’Unione europea.
La riapertura del fronte mediterraneo promette di diventare un serio elemento di imbarazzo in primo luogo per la Lega nord. Il partito di Umberto Bossi poteva vantare di avere quasi interrotto l’arrivo dei barconi dei disperati con la politica dei «respingimenti» in mare: una scelta all’inizio contestata la sua, ma che alla fine era sembrata vincente. La destabilizzazione del Nord Africa lascia capire invece che il problema è stato tamponato, non risolto; e può ripresentarsi con contorni inquietanti. Il fatto che il centro di accoglienza di Lampedusa fosse stato chiuso trasmette la sensazione di una questione forse sottovalutata; e, a ragione o a torto, mostra un governo preso in contropiede.
Il timore di un «effetto domino» in grado di moltiplicare e intensificare le ondate migratorie è concreto. Maroni già segnala il pericolo di 80 mila nuovi arrivi. Ma se le autorità tunisine non riprendono in mano la situazione, i respingimenti sarebbero impossibili. Per questo ieri è andato a Tunisi il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Il contenimento del fenomeno confermerebbe la strategia governativa. L’incapacità o l’impossibilità di bloccare l’esodo rischia invece di destabilizzare una situazione già logorata: a dispetto di una maggioranza che si gonfia giorno dopo giorno. Ma il versante più delicato sta diventando quello europeo. La polemica fra Maroni e l’Ue ripropone vecchie incomprensioni.
Silvio Berlusconi tenta di riportare la questione alle sue dimensioni, chiedendo la convocazione del Consiglio europeo. E oggi ne discuterà anche il Parlamento di Strasburgo. Ma la Lega riscopre un’atavica diffidenza e a Milano manifesta davanti alla rappresentanza della Commissione Ue. «L’Europa pensa di aspettare che il nostro Paese sia completamente invaso dagli sbarchi di tunisini ed egiziani?», accusa la segreteria milanese del Carroccio. «Non può lasciare soli il nostro Paese e il ministro Maroni». Traspare la tentazione di scaricare solo sugli organismi sovranazionali la difficoltà a maneggiare un’emergenza che ha colto tutti di sorpresa: fuori e dentro un’Italia distratta da questioni assai meno serie.
Quando abbiamo problemi Bruxelles diventa «il nostro capro espiatorio», sostiene l’ex commissario Emma Bonino. Ma al di là degli scambi di accuse, si confermano la solitudine dei Paesi mediterranei e una certa lontananza delle istituzioni dell’Unione in materia di immigrazione. Frontex, l’agenzia che si occupa delle frontiere europee, fa sapere da Varsavia di non avere ricevuto richieste di aiuto dall’Italia. Ma non può essere una giustificazione. L’ex premier e presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, ricorda che sul Mediterraneo l’Europa «ha fatto un grande progetto senza assegnargli le risorse». Ora prende corpo la prospettiva di dover pagare di colpo il conto salatissimo della miopia geopolitica dell’Ue.
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