Una miscela esplosiva

L'intreccio fra voto regionale e voto per il Parlamento è diventato un nodo delicato, in grado di provocare non poche tensioni politiche e di riflesso anche istituzionali. Ma il governo non poteva non indire le elezioni nelle tre regioni (Lombardia, Lazio e Molise) sconvolte dalle note e poco edificanti vicende.
Così si è arrivati alle date del 10 e 11 febbraio. Allungare ancora i tempi non sarebbe stato consigliabile: in fondo questo ritorno alle urne è figlio di una grave serie di scandali e in questi casi è meglio non sfidare un'opinione pubblica già irritata. D'altra parte, il Quirinale aveva fatto sapere da tempo di essere contrario ad anticipare lo scioglimento delle Camere e infatti gira la data ufficiosa del 7 aprile come giorno dedicato alle elezioni politiche. Dopodiché, come è noto, il nuovo Parlamento avrà come assoluta priorità la scelta del successore di Giorgio Napolitano e l'attuale capo dello Stato non potrà e non vorrà dare l'incarico per formare il primo governo della legislatura: mancherebbero i tempi e sarebbe poco riguardoso per chi sarà chiamato dopo di lui alla presidenza della Repubblica.
Tutto semplice? Non proprio perché ci sono le esigenze politiche dei partiti. Bersani, ad esempio, ha tutto l'interesse a votare prima per le regionali e poi per le politiche. E si capisce: si attende un buon successo nelle regioni e pensa di usarlo come carburante per creare il clima psicologico idoneo a spingere le liste del centrosinistra anche nel voto legislativo. Per l'opposta ragione Alfano e Berlusconi non vogliono che le prevedibili sconfitte nelle regioni siano l'antipasto della disfatta nelle politiche. E va detto che su questo terreno trovano anche Casini: è evidente che l'Udc si muove con difficoltà in una campagna elettorale permanente e del resto non ha interesse a facilitare un trionfo di Bersani.
È quella che si può definire una miscela esplosiva. Siamo infatti alla fine della legislatura, quasi alla vigilia della legge di stabilità e in alto mare sulla riforma elettorale. A questo punto non sarebbe strano se intorno alla data delle elezioni si consumasse una rottura all'interno della non-maggioranza che sostiene Monti. Il nervosismo del Pdl è sotto gli occhi di tutti e lo scenario della crisi è stato evocato non soltanto da Berlusconi. In questo caso il governo cadrebbe, sia pure dopo il "sì" alla legge di stabilità, e si aprirebbe la via alle elezioni politiche. Ma a quale prezzo? Un conto è favorire di comune accordo lo scioglimento, che peraltro è di competenza di Napolitano, un altro è arrivarci con uno strappo polemico. Ma tant'è, il rischio è reale.
S'intende che ci sarebbe un modo indolore per arrivare allo stesso risultato, accontentando anche il capo dello Stato che si è più volte speso su questo punto. Sarebbe sufficiente che le forze parlamentari, con una larga maggioranza, approvassero subito la riforma elettorale, sulla base di un decente compromesso. In fondo è questo il punto su cui Napolitano è sempre stato intransigente ed è qui che si sono create le maggiori tensioni fra il Quirinale e il mondo politico.
Al di fuori di questa ipotesi, peraltro poco probabile, avremo due scenari entrambi preoccupanti. Il primo, lo abbiamo visto, è lo strappo e le elezioni in un clima di violenta lacerazione. L'altro è che la legislatura si trascini fino ad aprile senza che Monti, indebolito e frenato dalle polemiche partitiche, abbia la possibilità di governare con l'energia e l'efficacia necessarie. L'Italia non può permettersi una stasi così lunga. E non può assistere indifferente al logoramento di Monti, la risorsa per il dopo a cui non si può rinunciare a cuor leggero.
© 2012 Il Sole 24 Ore. Tutti i diritti riservati
SU