Una bella giornata per la democrazia

Tre milioni di votanti, cinquantamila volontari in diecimila seggi, decine di milioni di euro raccolti. Se qualcuno nel Pd ha ancora dubbi sulle primarie è un pazzo. Sono l´elemento più identitario del partito, dal giorno della nascita. È stata una grande giornata per l´unico partito al mondo che coinvolga tanti cittadini nella scelta del segretario, ma soprattutto per la democrazia. Il voto degli elettori ha confermato nella sostanza quello degli iscritti. Bersani è il vincitore, ma Franceschini e Marino non escono sconfitti. Il segretario uscente ha avuto proprio ieri la conferma d´aver svolto bene la missione di salvare il Pd nella stagione peggiore e oggi può consegnarlo al successo in ottima salute. Ignazio Marino è stata la sorpresa del voto popolare, a riprova che i temi del rinnovamento e della laicità sono assai avvertiti dalla base.
La vera notizia è la partecipazione. Tre milioni non li aveva previsti nessuno. Tanto meno dopo l´ultimo desolante caso di Piero Marrazzo. Il popolo democratico ha invece reagito con un atto di generosità e responsabilità, qualità più rare ai vertici. La corsa alle primarie può segnare un punto di svolta nello stallo politico. È una scossa positiva per il Pd, in cerca d´identità da troppo tempo. Ed è una spallata al governo Berlusconi, già avvitato in un evidente declino. Una spallata vera e potente, che non arriva dalle élites e dai palazzi complottardi di cui favoleggiano i demagoghi, ma piuttosto da milioni d´italiani. Cittadini normali che si sono svegliati presto di domenica, messi in fila, versato un contributo, atteso i risultati fino a notte. Non perché Bersani, Franceschini o Marino siano leader di travolgente carisma, né sull´onda di un entusiasmante dibattito congressuale. Ma nella speranza d´infondere al principale partito d´opposizione la forza necessaria per mandare a casa il peggior governo della storia repubblicana.
Questo è il chiarissimo mandato che i tre milioni consegnano nelle mani del vincitore Bersani, ma anche a Franceschini e Marino, da oggi chiamati a collaborare come rappresentanti delle minoranze interne a un grande progetto. Si tratta di vedere se la nuova dirigenza saprà interpretarlo o, chiusi i gazebo, tornerà a rinchiudersi nelle stanze affumicate di strategie tanto sottili quanto perdenti. Come è sempre accaduto finora. Il nuovo leader democratico ha davanti compiti difficili e tempi strettissimi, da qui alle regionali. Il primo è rilanciare il Pd alla guida di un´opposizione seria nei toni, ma dura nella sostanza. Più dura di quanto non sia stata finora. Di «tregue» a Berlusconi, più o meno volontarie, il centrosinistra ne ha offerte già troppe in questi anni. Un´ulteriore resa a un Cavaliere a fine corsa, almeno nell´opinione mondiale, sarebbe interpretata come un tradimento degli elettori e si tradurrebbe in una catastrofe politica.
Il secondo compito è quello di affrontare il rinnovamento interno al partito, che non sia la solita mano di bianco sulla nomenklatura. Nei confronti dei casi inquietanti segnalati qua e là, la base si aspetta da Bersani che agisca con rapidità e chiarezza. Per fare l´esempio più recente, che convinca Marrazzo, dopo l´opportuno gesto dell´autosospensione, a tagliare la testa al toro e rassegnare subito le dimissioni da governatore.
Occorre certo un po´ di coraggio, quello che è sempre mancato ai leader, davvero non al popolo di centrosinistra. Ma il coraggio, se uno non l´ha, milioni di voti glielo potrebbero pur dare. A Prodi e a Veltroni non erano bastati. Bersani ne ha presi molti meno, ma alla fine di primarie vere e combattute fino all´ultimo. Ora ha l´occasione di dimostrare nei fatti quanto aveva ragione a criticare i predecessori.
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