Un vero leader non parla così

Dalla Rassegna stampa

Che la campagna elettorale più importante del mondo, quella americana, si giocasse nel 2012 sull'economia e sul confronto con l'Europa lo si sapeva.

Lo stesso presidente Barack Obama, accreditato (o meglio, screditato) dagli avversari repubblicani come "socialista" amico degli europei "statalisti", aveva più volte incalzato i Governi e le istituzioni europee ad agire con più determinazione e rapidità contro la Grande Crisi.
Non si poteva immaginare, invece, che l'avversario Mitt Romney, giunto all'ultimo tornante di una sfida pure senza esclusioni di colpi, arrivasse al punto di indicare l'Italia, assieme alla Spagna e alla Grecia, come il "male" che l'America deve evitare come la peste.
Attenti, dice Romney, Obama vi sta portando sulla strada dell'Italia e della Spagna. La stessa di Atene che conduce al disastro. Obama «ha venduto la Chrysler agli italiani», cioè alla Fiat guidata da Sergio Marchionne che poi «ha delocalizzato la produzione di Jeep in Cina», come recita uno spot dei repubblicani (smentito da Fiat-Chrysler). Insomma, l'America farebbe la fine dell'Italia. Una brutta fine.

Intendiamoci. La sfida per la conquista della Casa Bianca non è cosa da educande. Il confronto è duro, la posta in gioco un potere immenso. E l'Europa, con i suoi ritardi e i suoi deficit decisionali, non è gli Stati Uniti d'Europa e, tantomeno, assomiglia gli Stati Uniti. C'è chi dice «per fortuna» e c'è chi pensa l'esatto contrario. In ogni caso, né il modello americano né quello europeo sono esenti da critiche: metterli l'uno contro l'altro come fosse l'ultima battaglia tra il Bene e il Male ci ricaccia nell'imbuto delle guerre ideologiche. Grottesco, nel 2012.
Mitt Romney, come ha scritto l'altro ieri sul Corriere della Sera l'economista Alberto Alesina, vorrebbe «ristabilire quell'eccezionalismo americano basato su tasse relativamente basse, su un Governo leggero e su un welfare snello e meno distruttivo». Chiaro: la critica è a Obama, ma dietro c'è anche l'Europa. E volendo conquistare la "pancia" degli americani medi, Romney non va per il sottile.

Ma c'è un limite. Quello superato il quale anche la critica (legittima) e più ruvida sconfina nella gaffe politica e diplomatica che un candidato alla presidenza Usa non può permettersi. Infilare l'Europa, la Grecia, la Spagna e l'Italia in un pentolone e non riconoscere cosa Roma ha fatto di buono nell'ultimo anno è oggettivamente un errore. Tanto è vero che il Fondo monetario ha riconfermato ieri che le riforme prese dall'Italia per la crescita e l'occupazione «vanno nella giusta direzione», ancorché sia "cruciale" la loro attuazione.
L'Italia, che si porta sulle spalle decenni di problemi irrisolti e uno statalismo tanto invasivo quanto costoso, non è nelle condizioni di impartire lezioni se non a se stessa. Ma non è nemmeno quella dipinta da Romney. È un'altra, diversa e migliore.

PS. Mitt Romney, a cui tra l'altro sembra piacere molto vestire italiano, il Bel Paese dovrebbe conoscerlo. Anni fa, quando era amministratore delegato di Bain Capital, comprò e rivendette la società Seat-Pagine Gialle guadagnando in poco tempo molti soldi. Un affare controverso ma comunque per lui molto profittevole. Accadde in Italia, Europa.

 

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