Un segnale a Tremonti (e la tregua traballa)

Dalla Rassegna stampa

Se Fini manda i deputati in cassa inte­grazione, non lo fa solo perdifendere l’istituzione che rappresenta, ma anche contro lagestione «troppo accentratrice» di Tremonti nel governo, che «soffoca» l’attività delle Camere. Decidendo di chiudere l’Aula di Montecitorio fino al 9 novembre, il presidente della Camera ha dato se­guito al suo intendimento di ren­der manifesta la critica alla strate­gia del ministero di via XX Settem­bre, politicamente oggi forse più importante di Palazzo Chigi. «Per­ché è semplicistica e un po’ qualun­quista la tesi dei parlamentari fan­nulloni », aveva detto Fini nei gior­ni scorsi in un colloquio riservato: «Può starci che nelle commissioni l’esame dei provvedimenti vada a volte a rilento per problemi politi­ci. Ma quando il Bilancio pone siste­maticamente il veto sulla copertura finanziaria...». Furono proprio i pre­sidenti delle commissioni a solleva­re il problema durante un incontro con l’inquilino di Montecitorio, che comprese le loro rimostranze e commentò: «Così si blocca tutto. E il Parlamento non può ridursi a vo­tare solo i decreti del governo».

È vero che in prossimità della Fi­nanziaria — con la sessione di bi­lancio — c’è sempre una riduzione dell’attività di Camera e Senato. Co­sì com’è vero che per anni — e da più parti — è stato criticato il «Par­lamentificio », la trasformazione cioè delle Camere in una sorta di in­dustria pesante dove sfornare nor­me e codicilli in sovrabbondanza. E non è un caso se si è pensato a prov­vedimenti taglia-leggi, se l’attuale governo ha persino varato un mini­stero della Semplificazione. Il tema è stato anche oggetto di dibattito al­la capigruppo del Senato, la scorsa settimana, con il pdl Gasparri che ha difeso la diminuzione della pro­duzione legislativa, in nome di una maggiore qualità: «Perché noi par­lamentari — ha detto — non siamo cottimisti».

Ma la cassa integrazione non si era mai vista, sebbene la settimana «sabbatica» e la riduzione dei lavo­ri d’Aula fosse stata introdotta nel­le precedenti legislature. Il punto è che Fini, con la sua sortita, ha evi­denziato quanto sia fragile la tre­gua sottoscritta da Berlusconi e Tre­monti nell’incontro ad Arcore di qualche giorno fa. D’altronde il braccio di ferro sull’Irap al Senato tra la maggioranza e il dicastero del­l’Economia testimonia che le ten­sioni non si sono sopite. Piuttosto resteranno sotto traccia. Fino alle Regionali non si muoverà nulla. Il Cavaliere infatti ha invitato i mini­stri ad abbassare i toni, «perché l’opinione pubblica non sopporta queste divisioni», a conferma che nei suoi adorati sondaggi c’è la pro­va di un calo nel gradimento.

Resta l’irritazione per quanto ac­caduto, gli strascichi per la richie­sta di Tremonti di assumere l’incari­co di vicepremier. Quando si pensò di farne tre, Matteoli chiamò Berlu­sconi e lo invitò a rigettare l’ipote­si, «perché ci faremmo prendere in giro in tutto il mondo». Poi Fini dis­se no, e il Cavaliere fu lieto della sponda. Sono stati momenti molto concitati, se è vero che a un certo punto il premier pensò a Dini per l’Economia, nel caso in cui l’attuale ministro avesse deciso di rassegna­re le dimissioni. Ma piuttosto che lavorare a un rimpasto preferisce te­nersi la scarlattina, nonostante si sia ragionato sull’ipotesi se cambia­re in corsa per offrire l’immagine di un rilancio prima delle Regionali, o attendere l’esito del voto in prima­vera per un assestamento dell’ese­cutivo.

Sembra esser stata preferita que­sta seconda opzione, anche se la scelta dei candidati governatori in­fluirà sulla squadra di Palazzo Chi­gi. Per alcune regioni il vertice a tre, con Berlusconi, Bossi e Fini, ser­virà solo a sancire l’intesa raggiun­ta. Nel Lazio, per esempio, correrà la segretaria dell’Ugl Polverini. È in Veneto invece che lo scenario può cambiare: a meno di una clamorosa concessione della Lombardia, toc­cherà alla Lega, ma non è detto che sarà Zaia a «scendere in campo», se è vero che il Pdl locale sarebbe più propenso ad accettare la candidatu­ra del capogruppo al Senato del Car­roccio, Bricolo. «Umberto, decidi tu», ha detto il titolare dell’Agricol­tura al Senatùr. E il capo del Carroc­cio ci sta seriamente pensando, lo aveva già fatto capire a Fini duran­te il loro ultimo incontro: «Comun­que l’Agricoltura resta a noi, Gian­franco. Silvio l’ha garantito».

Se così fosse, al governatore uscente Galan — apprezzato ieri pubblicamente da Gianni Letta — verrebbe offerto un incarico «sicu­ro » di governo. E visto che Zaia re­sterebbe al suo posto, pur di evita­re un complicato valzer delle poltro­ne, si sta prospettando la soluzione di affidargli il futuro ministero del­la Salute. Gli indizi sono numerosi: il disegno di legge che divide le competenze della Sanità dal Welfa­re è all’esame del Parlamento, e guarda caso prevede il ruolo di mi­nistro e di un viceministro. Così Fa­zio resterebbe al suo posto, visto che finora è stato il vice di Sacconi. Poi bisognerà vedere se accetterà la mancata promozione.

Si tratta comunque di fibrillazio­ni minori se paragonate allo scon­tro attorno al ministero dell’Econo­mia. Perché la battuta di Tremonti, che vorrebbe continuare a tener «af­famati » i suoi colleghi senza fondi, è giunta all’orecchio di molti nel go­verno. E comunque è Berlusconi che gli sta chiedendo il conto. La sortita di Fini è servita a ricordarlo.

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