Un rinvio sarebbe un suicidio

Una sbandata all'ultima curva a un passo dalle elezioni. L'errore sarebbe clamoroso, ma il rischio è reale. Va detto senza giri di parole: ciò che l'Italia, con fatica, ha (ri)guadagnato in termini di credibilità e stabilizzazione, può andare in fumo se ciò che resta da fare sul terreno delle riforme - a partire dalla delega fiscale- s'impantana in un nulla di fatto.
Ieri il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha richiamato tutti ad uno «sforzo per una costruttiva conclusione della legislatura, evitando passi falsi e passi indietro». Il Governo e la maggioranza politica che lo sostiene non possono che convenire su questo appello. E proprio perché il tempo a disposizione è poco e il lavoro da mandare in porto moltissimo, come ha dimostrato il monitoraggio del Sole 24 Ore, occorre un colpo d'ala.
Dal decreto sviluppo alle semplificazioni, dal riordino delle province alla delega fiscale il capitolo delle riforme attende in Parlamento di essere convertito in leggi e decreti attuativi. Cioè fatti che incidono, in positivo, sulla vita quotidiana di cittadini e imprese. Il clima generale, pre-elettorale, non è dei migliori e le resistenze, emerse e sommerse, forti. La pioggia di emendamenti sulla manovra per ridurre i costi della politica e il tentativo di mandare in stallo il riordino delle province, per fare due esempi, mostrano quanto sia difficile procedere sulla strada del cambiamento promesso. Ma il tempo delle parole è esaurito.
Sulla questione fiscale un rinvio equivarrebbe ad un suicidio politico, ed è bene dirlo con la chiarezza che il tema merita. La delega al Governo per la riforma ed i conseguenti decreti delegati devono entrare in pista entro la fine di questa legislatura, non dopo. In gioco c'è qualcosa che al tempo stesso e più semplice e più difficile di una manovra per abbassare il già insostenibile livello della pressione fiscale. In gioco - si pensi alla riforma del contenzioso e dell'apparato sanzionatorio - c'è il patto tra i contribuenti e lo Stato all'insegna di un fisco più semplice, più corretto ed equo, meno invasivo. La certezza del diritto s'abbevera di regole stabili e non di rincorse normative (molto spesso retroattive) che si traducono in sfiducia generale oltre che in maggiori costi.
Siamo in «stato di guerra», ha detto il premier Mario Monti agli stati generali dei dirigenti d'azienda della Cida. «Non è possibile avere una pace sociale tra i cittadini e lo Stato se non viene ruvidamente contrastato il fenomeno dell'evasione fiscale». Perfetto, il contrasto non può che essere duro: e meno leggi ci sono e più le regole sono chiare, maggiore è la possibilità di colpire davvero l'evasione fiscale (e la corruzione pubblica, che si alimenta al crescere dell'inflazione legislativa, come osservava il grande storico romano Tacito).
D'altra parte hanno ragione anche gli imprenditori e i dirigenti d'azienda quando chiedono, al Governo e al Parlamento, una "rivoluzione fiscale" pro-crescita che si fondi sul rispetto dei diritti dei contribuenti e che tagli tutto il tagliabile (moltissimo) in termini di oneri burocratici e tempi della giustizia.
I rinvii non s'addicono allo "stato di guerra". Vale per tutti.
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