Un professore isolato ma i ballottaggi confermano la crisi

Dalla Rassegna stampa

Le elezioni regionali del 28 e 29 marzo e i ballottaggi alle comunali di ieri dicono che non esiste più un «partito dei sindaci» come classe dirigente di ricambio: soprattutto per il centrosinistra. Persiste un mito residuo su realtà locali migliori di quelle nazionali. E forse è anche afferrandosi a questo che l’ex premier Romano Prodi ha teorizzato un potere affidato a venti segretari regionali. Ma la presa di posizione è stata accolta come la mossa di chi giura di stare alla larga dalla politica italiana, e tuttavia proprio non ci riesce. Nessuno ha visto come una soluzione la proposta di azzerare la nomenklatura del Pd. Il grazie è solo formale. D’altronde, un certo «federalismo» del Pd è emerso soprattutto in contrasto con le indicazioni romane, lì dove sono prevalse le soluzioni imposte dai «governatori»: dalla Puglia al Lazio, a Calabria e Piemonte. Seppure formalmente assorbito da impegni accademici internazionali, Prodi ha registrato questi strappi, e li porta alle estreme conseguenze. Anche se i suoi avversari accreditano la tesi secondo la quale il fondatore del Pd si è voluto prendere una rivincita su Pierluigi Bersani e i dirigenti: gli stessi che accolsero con freddezza la candidatura del Professore a sindaco di Bologna dopo il siluramento del suo pupillo Flavio Delbono, travolto da uno scandalo.
Ma liquidare come provocazione l’azzeramento lascia intatto il problema della leadership. Ieri, l’unico a replicare muso duro all’ex premier dell’Unione è stato Di Pietro e non il segretario del Pd, più prudente. «Con tutto il rispetto per Prodi», ha detto il capo dell’Idv, «si vede che da un po’ di tempo non gira per piazze e mercati. Altrimenti saprebbe che il male dei Pd non è questo o quel dirigente nazionale, ma i tanti ras locali». Solo l’ex sindaco di Venezia, Cacciari, è stato più caustico. Per lui, «Prodi ha fatto il suo tempo, come me». È un de profundis così netto da far pensare che una parte del centrosinistra voglia colpire fin d’ora le eventuali ambizioni dell’ex premier per il Quirinale. Ma non cancella l’impressione di un’analisi ritenuta liquidatoria. L’ipotesi di trasformare il Pd in una sorta di Lega nazionale semina perplessità. Il timore è quello di moltiplicare i potentati locali e le loro incrostazioni di potere, senza per questo scalfire «l’originale» di Umberto Bossi.
Ad accentuare il risentimento nei confronti di Prodi è il fatto che sacrifichi sull’altare del federalismo le «primarie», usate proprio da lui come strumento di legittimazione popolare. Ma i malumori sono destinati comunque ad aumentare dopo la sconfitta ai ballottaggi in comuni-simbolo come Mantova e Vibo Valentia, passati al Pdl.
Il centrodestra esulta, anche perché l’astensionismo sembra aver colpito soprattutto l’opposizione; e l’appoggio dell’Udc al Pd a Mantova è stato ininfluente. Si tratta dell’ennesima conferma che, per il centrosinistra, le alleanze sono ancora tutte da studiare.

© 2010 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK