Un presidente nell'angolo

A giudicare dai sondaggi, oracoli delle società moderne, Mitt Romney è stato molto più convincente di Barack Obama. Ma non è chiaro se la maggioranza degli americani abbia creduto al suo programma o abbia soprattutto apprezzato la sua recitazione. La politica è sempre stata spettacolo e l’agorà fu, sin dagli inizi, un palcoscenico. Ma la democrazia di massa, il suffragio universale, la personalizzazione del potere, la televisione, i riflettori puntati sul volto dei contendenti e i tempi assegnati dall’arbitro ai loro interventi hanno trasformato il confronto delle idee in una gara in cui i giocatori vengono giudicati per il loro stile, la prontezza dei riflessi, la capacità di alternare fermezza e ironia, l’efficacia di una battuta usata come un colpo di fioretto. Obama è uno straordinario oratore. Il suo primo successo politico nazionale fu il discorso che pronunciò alla Convenzione del Partito democratico il 27 luglio del 2004: una commovente combinazione di ricordi familiari e di idealismo americano. Il genere in cui eccelle è quello delle disquisizioni accademiche, appreso e praticato lungamente sulla cattedra dell’Università di Chicago. Ma preferisce parlare a una platea e non essere interrotto. Romney invece è disteso, rilassato, spontaneo. Le sue numerose gaffe sono il sottoprodotto di un’oratoria più affabile e naturale. Sulle cose che faranno i due avversari non hanno detto alcunché di nuovo. In una diversa sede, di fronte a un centinaio di persone, il rigore di Obama sarebbe stato più convincente degli argomenti con cui Romney ha sostenuto che i ricchi sono tanto più bravi, nell’interesse del Paese, quanto meno vengono tassati. Ma di fronte a una platea composta da milioni di elettori la sua ricetta è parsa migliore di quella dell’avversario. La partita, tuttavia, non è finita. Molti spettatori si chiederanno a mente fredda per quale dei due contendenti convenga davvero votare e vi saranno ancora due dibattiti durante i quali Obama farà tesoro della lezione che gli è stata impartita a Denver. Ma non dovrà dimenticare che lo scontro televisivo per la Casa Bianca è ormai la versione moderna del giudizio di Dio. Non è un fenomeno recente. Si dice che Richard Nixon abbia perduto la sua gara contro Kennedy, nel 1960, perché i riflettori avevano spietatamente rivelato che sul suo volto vi era «l’ombra delle cinque del pomeriggio», quel velo nero che resiste alla più accurata delle rasature. Al di là di queste riflessioni sulla politica come teatro, il duello di Denver sembra dimostrare che Romney, dopo una campagna impostata su temi che piacevano alla destra repubblicana e al movimento del Tea Party, vuole ora conquistare i voti del centro moderato. Quando annunciò che il candidato alla vice-presidenza sarebbe stato Paul Ryan, irriducibile avversario dei programmi sanitari di Obama, Romney parlava a tutti coloro per cui il presidente è un pericoloso socialista. Di qui al giorno delle elezioni, invece, dovrà parlare a chi non è necessariamente schierato da una parte o dall’altra. Sono questi gli elettori che decideranno il risultato dell’elezione. Per loro, probabilmente, i dati economici non sono meno importanti dei duelli televisivi. Se la politica monetaria della Federal Reserve (acquisto illimitato di titoli di credito a tasso zero per favorire la crescita) continuerà a segnalare qualche progresso, forse Obama ha ancora qualche possibilità di restare alla Casa Bianca.] A giudicare dai sondaggi, oracoli delle società moderne, Mitt Romney è stato molto più convincente di Barack Obama. Ma non è chiaro se la maggioranza degli americani abbia creduto al suo programma o abbia soprattutto apprezzato la sua recitazione. La politica è sempre stata spettacolo e l'agorà fu, sin dagli inizi, un palcoscenico. Ma la democrazia di massa, il suffragio universale, la personalizzazione del potere, la televisione, i riflettori puntati sul volto dei contendenti e i tempi assegnati dall'arbitro ai loro interventi hanno trasformato il confronto delle idee in una gara in cui i giocatori vengono giudicati per il loro stile, la prontezza dei riflessi, la capacità di alternare fermezza e ironia, l'efficacia di una battuta usata come un colpo di fioretto.
Obama è uno straordinario oratore. Il suo primo successo politico nazionale fu il discorso che pronunciò alla Convenzione del Partito democratico il 27 luglio del 2004: una commovente combinazione di ricordi familiari e di idealismo americano. Il genere in cui eccelle è quello delle disquisizioni accademiche, appreso e praticato lungamente sulla cattedra dell'Università di Chicago. Ma preferisce parlare a una platea e non essere interrotto. Romney invece è disteso, rilassato, spontaneo. Le sue numerose gaffe sono il sottoprodotto di un'oratoria più affabile e naturale.
Sulle cose che faranno i due avversari non hanno detto alcunché di nuovo. In una diversa sede, di fronte a un centinaio di persone, il rigore di Obama sarebbe stato più convincente degli argomenti con cui Romney ha sostenuto che i ricchi sono tanto più bravi, nell'interesse del Paese, quanto meno vengono tassati. Ma di fronte a una platea composta da milioni di elettori la sua ricetta è parsa migliore di quella dell'avversario. La partita, tuttavia, non è finita. Molti spettatori si chiederanno a mente fredda per quale dei due contendenti convenga davvero votare e vi saranno ancora due dibattiti durante i quali Obama farà tesoro della lezione che gli è stata impartita a Denver. Ma non dovrà dimenticare che lo scontro televisivo per la Casa Bianca è ormai la versione moderna del giudizio di Dio. Non è un fenomeno recente. Si dice che Richard Nixon abbia perduto la sua gara contro Kennedy, nel 1960, perché i riflettori avevano spietatamente rivelato che sul suo volto vi era «l'ombra delle cinque del pomeriggio», quel velo nero che resiste alla più accurata delle rasature.
Al di là di queste riflessioni sulla politica come teatro, il duello di Denver sembra dimostrare che Romney, dopo una campagna impostata su temi che piacevano alla destra repubblicana e al movimento del Tea Party, vuole ora conquistare i voti del centro moderato. Quando annunciò che il candidato alla vice-presidenza sarebbe stato Paul Ryan, irriducibile avversario dei programmi sanitari di Obama, Romney parlava a tutti coloro per cui il presidente è un pericoloso socialista. Di qui al giorno delle elezioni, invece, dovrà parlare a chi non è necessariamente schierato da una parte o dall'altra. Sono questi gli elettori che decideranno il risultato dell'elezione. Per loro, probabilmente, i dati economici non sono meno importanti dei duelli televisivi. Se la politica monetaria della Federal Reserve (acquisto illimitato di titoli di credito a tasso zero per favorire la crescita) continuerà a segnalare qualche progresso, forse Obama ha ancora qualche possibilità di restare alla Casa Bianca.
© 2012 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati
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