Un patrimonio da mettere in salvo: i radicali

Nel mare di fatti di straordinario rilievo che da giorni invadono giornali e tv sta affogando nel dimenticatoio la notizia della gravissima crisi economica dei radicali.
A loro devo moltissimo per la mia formazione politica e umana, e mi sono sempre adoperato perché questo non fosse un fatto privato ma così pubblico da essere parte integrante del giudizio sulla mia attività politica. Parlare di “educazione radicale” significa inserire la definizione in un vocabolario masticato anche da chi ha poca dimestichezza con la storia politica ma associa immediatamente l’espressione a metodi, contenuti e riferimenti ormai entrati di fatto nella storia del nostro paese così come nel pensiero e nel linguaggio comune.
Già questo basterebbe per comprendere il valore di un’esperienza che in un panorama globale che ha visto crollare ideologie e ha assistito a trasformazioni inesorabili di partiti e movimenti, è riuscita a mantenere vive un’identità e una missione davvero distintive, senza mai smarrire il senso ed il valore dell’amore per un’idea e la vocazione per cause che i più considerano impossibili e altri addirittura perse in partenza.
Se mi chiedessero di definire chi è un radicale, ieri come oggi, lo descriverei come un sognatore e al contempo un combattente. Un architetto e insieme un manovale, mente e braccio, dirigente e militante con una straordinaria attitudine a vestire con naturalezza i panni che il momento rende necessari.
Chi ha attraversato un pezzo di deserto con i radicali sa che nessuna battaglia si vince senza sapersi armare di passione, entusiasmo e concretezza, che nessun risultato si raggiunge senza un pizzico di follia e consapevolezza che “la durata è la forma delle cose”.
È questa la storia radicale.
Lo è stata per tutte le lotte civili che li hanno visti guidare le più grandi trasformazioni e conquiste della società ponendo al centro del dibattito pubblico la questione suprema dei diritti delle minoranze, degli ultimi.
Battaglie che all’inizio venivano scambiate come chimere rincorse da un manipolo di visionari capricciosi e che invece, come tutti ormai riconoscono, hanno tracciato il cammino della storia.
Che si trattasse dei diritti delle donne, o di quelli di detenuti spesso vittime di un sistema giudiziario forte con i deboli e debole con i forti, dei diritti dei bambini o di quelli di opposizioni politiche silenziate da regimi sanguinari, della sofferenza di continenti sfruttati oltre misura in cui non c’è casa per i basilari e fondanti diritti dell’uomo, ebbene in tutti questi contesti – se vi fermate un attimo a pensarci - avete sempre trovato, non di rado solitari, i radicali.
Ancora una volta, nell’assordante silenzio che li circonda, i radicali rischiano di spegnersi.
Non per mancanza di idee ed attività politica che anzi li vedono sempre più presenti, nonostante siano fuori praticamente da qualunque istituzione nazionale o locale che sia, spesso anticipatori delle questioni che precipitano nel panorama non solo italiano, ma affogati dalla loro povertà, dalla mancanza di quel minimo di risorse indispensabili ad andare avanti.
Già ma allora che fare?
Beh c’è da fare e ce n’è per tutti. Ce n’è per i giornalisti, per i politici, per gli elettori, per tutti. Non sta a me fare appelli.
Io mi sono iscritto anche quest’anno. Ognuno sa cosa può e deve fare, lo faccia a modo suo, subito. C’è urgenza. Ognuno ha nella sue mani la possibilità di tenere in vita questa fiaccola di libertà e di lotta, nessuno si senta a cuor leggero sollevato da questa responsabilità.
La mia non è una richiesta di beneficenza ma di riconoscenza verso una forza politica che ha combattuto per i diritti di ciascuno di noi, diritti che non hanno colore né patenti politiche, non sono né di destra né di sinistra, appartengono a tutti.
Proviamo a chiudere gli occhi e immaginare che cosa potrebbe essere il nostro paese senza l’impegno, la presenza e l’azione dei radicali.
Cerchiamo quindi di renderlo impossibile.
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