Un medico contro le «zone grigie»

È utile ricordare quali sono le ragioni cruciali perché una legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento sia al più presto approvata dal Parlamento italiano. L'ordinamento italiano ha già tollerato almeno due casi eclatanti di eutanasia passiva: i casi Welby ed Englaro. In entrambe le vicende si è troncata la vita di un essere umano, interrompendo presidi vitali. Questi casi formano precedenti giurisprudenziali e possono essere seguiti da altri. È compito allora della legge non lasciare che «zone grigie» diventino vere e proprie «zone eutanasiche». Il che avverrebbe certamente in caso di inerzia del legislatore, in quanto i ricordati precedenti giurisprudenziali tracciano i modelli giuridici della materia e sono, perciò, assai ben più efficaci di astratti principi generali di tutela della vita che pur si riscontrano nel nostro ordinamento. Occorre, in particolare, riaffermare - come il disegno di legge fa - che è sempre reato la disattivazione di presidi vitali, salvo che questi siano inutili e sproporzionati. Perché disporre la sospensione di un sostegno vitale significa chiedere a un altro di privarmi della vita: proprio questo è il caso dell'eutanasia.
Occorre, inoltre, confermare che un effettivo «rapporto» tra medico e paziente implica che il malato sia consapevole. Ove il paziente fosse sì cosciente, ma incapace (minori, disabili), è necessario indicare - e questa è una prima messa a punto importante che va operata nell'attuale disegno di legge - che non potrà spettare a chi ne ha la tutela di disporre della salute altrui. In questi casi, resta, e va riaffermata, la centralità del ruolo del medico.
Nei casi di incoscienza del paziente può rivelarsi utile un documento scritto (le Dat, appunto). Proprio perché le situazioni possono essere differenti da come erano state immaginate nel momento della redazione del testo, tale documento non può possedere carattere vincolante, in quanto il medico non è un esecutore della volontà altrui; se il paziente è libero, lo è altrettanto il medico.
Peraltro - e questa è una seconda necessaria messa a punto dal provvedimento - occorre anche limitare i contenuti delle Dat ai soli interventi sproporzionati e non soltanto, come doverosamente prevede il testo di legge, all'impossibilità di indicare un rifiuto ora per allora della nutrizione, sempre decisiva per mantenere in vita gli esseri umani, e dunque non «terapia».
L'approvazione di una legge-argine è urgente anche per scongiurare che si affermi la prassi del «testamento biologico fai da te», ormai adottato da più di 70 Comuni e da non pochi giudici tutelari, che a tal fine piegano lo strumento dell'amministrazione di sostegno per raccogliere scelte di fine vita rivolte a legittimare vere e proprie pratiche di abbandono terapeutico e, dunque, di eutanasia passiva. Se si lasciasse così il corso delle cose, si assisterebbe a una progressiva erosione dei valori di riferimento del nostro ordinamento, declassando la vita umana e la dignità della persona a favore della volontà individuale e dell'arbitrio.
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