Un leader per il centrodestra

Nella seconda metà del 1993, un ricco imprenditore del mattone e dell’etere si trovò ad analizzare un voto amministrativo che somiglia parecchio al voto di oggi. Nelle città vinceva e sopravviveva il partito erede del Pci.
E si sbriciolava la rappresentanza moderata, quella che era della Dc e del Psi; se la giocava e bene il Msi, discendente diretto del fascismo per quanto - dice oggi Enrico Mentana, direttore del tg de La7, allora del Tg5 «avesse un ruolo di testimonianza, non di aggregazione». C’era un non più nuovissimo ma non ancora compreso voto di ribellione raccolto dalla Lega Lombarda di Umberto Bossi, così come oggi lo raccoglie il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. A Palermo c’era, guarda un po’, il sindaco Leoluca Orlando eletto con il 75 per cento dei consensi sulla promessa belligerante del rinnovamento. Fu lì che quel ricco imprenditore decise di inventarsi il centrodestra che avrebbe dominato per diciotto anni, conquistando tre volte il governo del Paese. Il dubbio è se ci sia ancora in giro qualcuno con un nome e un’idea all’altezza di una nuova rifondazione. «Macché. Il nome non c’è adesso come non c’era nel 1993. Tanto è vero che Silvio Berlusconi finì con il lanciare se stesso», dice Giancarlo Pagliarini, ex leghista e ministro del Bilancio nel gabinetto del ’94.
Ecco, la discussione potrebbe finire qui poiché la diagnosi di Pagliarini è ampiamente condivisa. Mario Sechi, direttore del Tempo (già vicedirettore del Giornale e di Panorama), dice che «il centrodestra italiano è raso al suolo, e il passo indietro di Berlusconi di colpo ha fatto invecchiare il berlusconismo». Per Mentana, senza Berlusconi la destra «era una merce invendibile allora, figuriamoci adesso». E pure Antonio Martino, vecchio liberale, vecchio amico del Cav., confida che lui un partito personalistico lo rivorrebbe, «ma manca una personalità: Silvio non ha nessuna voglia di tornare, Angelino Alfano è anche bravo ma non ha carisma, un erede in giro non si vede». E quindi? Uno spazio c’è, come c’era nel ’93. Si tratta di riempirlo. «E’ che nel ’93 Berlusconi pensò di importare la rivoluzione reaganiana, meno Stato e più iniziativa privata, poca burocrazia, ma ormai quella roba lì non la vuole più nessuno», dice Sechi. Eppoi questo centrodestra bipolarista, eterno giocatore di digrignanti derby, non ha ancora capito, afferma Mentana, «che davvero le nozioni di destra e sinistra sono evaporate: per quelli nati dagli Anni Ottanta in poi, il Novecento è sui libri di storia, e il voto a Grillo lo dimostra». «Se è per quello ricordo una lezione con cui Gianfranco Miglio, nel 1964, chiarì che i concetti di destra e sinistra appartenevano alla sfera infantile della politica, e presto sarebbero stati superati. E invece...», aggiunge Pagliarini. Insomma, non c’è un leader, nessuna lampadina s’accende, resta una drammatica tendenza a ripetere i postulati nemmeno della Seconda, ma della Prima repubblica.
E mentre a Martino basterebbe sbarazzarsi «dei pagliacci dell’Udc e del Fli che hanno succhiato il sangue a Berlusconi e poi lo hanno tradito», Mentana immagina «per un polo moderato, chiamiamolo così, la chance di prendere a modello la politica legalista di Flavio Tosi incentrata su più sicurezza, anche economica, su parole d’ordine chiare, persino impopolari, che prefigurino uno Stato forte, altro che deregulation». Sechi aggiunge il tema del merito «perché prevale la nausea per la gerontocrazia che si perpetua. Grillo sarà discutibile, ma porta idee e facce nuove, e prende voti. Cosa che l’attuale centrodestra non può fare in alcun modo». E’ il sistema perfetto di caricare Pagliarini: «Ma certo, quelli parlano a una società che non c’è più. Io voterei Grillo o non voterei, ed è lo stesso motivo per cui mi avvicinai a Bossi: tutti ne dicevano male perché era un ufo, perché era diverso, e più ne dicevano male più ci piaceva. Grillo fa discorsi incomprensibili e spesso inconsistenti, ma ha capito che nessuno è servitore dello Stato, semmai lo Stato è servitore del cittadino. Sogno per noi una Svizzera dove gli elettori bocciano per referendum la riduzione delle tasse. Purtroppo non abbiamo né una politica né un elettorato all’altezza».
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