Un indebitamento da 11 miliardi

Dalla Rassegna stampa

È tutto un kolossal alla Regione Lazio: il buco della sanità da 10,5 miliardi, emerso nel 2006; il disavanzo accumulato fino al 2010 per altri 7 miliardi; l'indebitamento finanziario di oltre 11 miliardi, che graverà sulle generazioni fino al 2028. Sono cifre che richiamano alla mente la bancarotta della Parmalat, con l'aggravante che il gruppo Tanzi era di natura privata mentre questo è un ente dello Stato su cui «si è innestato - scrive la Corte dei conti - un vero e proprio sistema corruttivo».

Se fosse una Spa la Regione Lazio sarebbe fallita da un pezzo. L'intervento risolutivo è venuto dall'ultimo governo Prodi. Per scongiurare il crack della sanità il ministero dell'Economia ha obbligato l'ente a un piano di rientro, accordandogli un prestito da 5,5 miliardi (al 5,965%) che la Regione sta rimborsando con rate annue da 350 milioni. Altri 2,5 miliardi del deficit complessivo se li è accollati il Tesoro, mentre i restanti 2,5 miliardi sono coperti da crediti verso lo Stato in fase di graduale erogazione.

I bilanci che le aziende sanitarie laziali avrebbero dovuto redigere tra il 2003 e il 2005, quando al governo c'era la giunta di centro-destra presieduta da Francesco Storace, sono stati approvati solo nel 2006. La Corte dei conti segnalava già allora la «non piena attendibilità delle scritture contabili» e l'esistenza di un deficit sanitario sommerso. Un modo per dire che i bilanci erano di fatto falsi. Poi nel 2005 ha vinto le elezioni il centro-sinistra e alla presidenza è salito Piero Marrazzo, artefice del piano di rientro. Ci si sarebbe aspettati un'inversione di tendenza. C'era l'impegno da parte della nuova giunta ad azzerare il deficit entro il 2009. Invece con Marrazzo il disavanzo della sanità è rimasto una costante (2 miliardi nel 2006, 1,8 nel 2007, 1,7 nel 2008, 1,4 nel 2009, oltre un miliardo nel 2010) ed è stato lasciato a briglia sciolta anche il disavanzo dell'amministrazione (dai 2,1 miliardi del 2006 ai 3,1 del 2007 ai 5,8 del 2009, a un anno dal rinnovo della legislatura). Quando il centrodestra s'è ripreso la Regione con Renata Polverini, che ha battuto Emma Bonino per una manciata di voti, la Ragioneria ha rifatto i calcoli. Così è emerso per il 2010 un ulteriore buco della sanità da 1,6 miliardi che i cittadini hanno pagato con un forte aggravio di Irap e addizionale Irpef.

Da allora il disavanzo sanitario è cominciato a scendere. «Lo abbiamo ridotto di 400 milioni nel 2010 e di altri 200 nel 2on, e a fine anno si attesterà sugli 850 milioni», spiega Stefano Cetica, assessore al Bilancio e alla Programmazione, che con Giovanni Zoroddu e Salvatore Ronghi, rispettivamente capo di gabinetto e segretario della Polverini, è tra gli uomini più influenti della giunta. Provengono tutti dall'Ugl, l'organizzazione sindacale di cui la presidente era a capo prima di entrare in politica. Dice Cetica: «Siamo stati eletti quasi per caso e vogliamo marcare una discontinuità. Costi quel che costi». La nuova giunta ha concentrato le sue energie sulla centrale acquisti. Aggiunge Cetica: «Abbiamo centralizzato 25 gare, in prevalenza per i servizi sociosanitari, ottenendo risparmi per decine e decine di milioni. Un esempio su tutti: i servizi di ristorazione (per un importo di 200 milioni) e di lavanderia industriale (per altri 100 milioni) che per nove anni sono stati gestiti di proroga in proroga dal gruppo Morabito attraverso la Innova e la Lavin sono stati rimessi a gara. Non è possibile che le strisce per diabetici che la Lombardia paga Si centesimi l'una, la Regione Lazio debba acquistarle a 8i. Una differenza che vale 25 milioni l'anno».

Casi come questi sono ormai la norma. La Corte dei conti ha denunciato che, per certi farmaci destinati a pazienti cronici, la Regione avrebbe potuto risparmiare 55 milioni fino al 2005 se solo avesse proceduto all'acquisto centralizzato dei prodotti. Sul perché sia stato preferito l'acquisto in farmacia è in corso un'inchiesta.

«In altre vicende, invece, l'interesse privato ha assunto caratteri truffaldini», scrive la magistratura contabile nella relazione di inaugurazione dell'anno giudiziario del 2011. «Al riguardo si possono richiamare i casi della società Clinilabor e della clinica San Raffaele di Velletri». Il primo è un laboratorio di analisi cliniche; il secondo è l'ospedale della famiglia Angelucci, l'editore del Riformista e di Libero, che ha amici sia a sinistra che a destra. Clinilabor caricava sulla Asl prestazioni effettuate da un soggetto non accreditato presso la Regione. L'altro caso, invece, «s'impone all'attenzione per le dimensioni colossali della frode». La magistratura penale ha accertato che la quasi totalità dei servizi di riabilitazione effettuati tra il 2004 e il 2008 dal San Raffaele di Velletri «risultavano irregolari o fittizi» e comunque «non conformi alla normativa vigente». Gli Angelucci (padre e figlio) sono finiti agli arresti domiciliari. La Corte dei conti rileva le responsabilità della Asl e dell'Agenzia di sanità pubblica della Regio ne (Asp). I dirigenti fingevano di non vedere le «gravissime irregolarità» e cooperavano con i vertici della casa di cura affinché non fosse emesso «alcun atto sanzionatorio» a suo carico.

Guardare al passato non è affatto edificante: Storace in un solo anno ha quasi triplicato il debito della Regione (da 3,7 a 10 miliardi), Marrazzo ci ha aggiunto un altro miliardo nei cinque anni successivi. La Polverini pare animata dalle migliori intenzioni, ma la prassi in qualche caso la smentisce. La legge sul piano casa della Regione Lazio si è rivelata un boomerang. Il consiglio dei ministri l'ha impugnata davanti alla Corte costituzionale perché prevede tra l'altro la possibilità di riqualificare aree sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici e la riconversione di capannoni industriali in abitazioni: un regalo ai costruttori romani. Storace continua a comandare dietro le quinte nonostante sia tra i maggiori responsabili del dissesto della Regione. Dietro di lui una rete di burocrati inseriti nelle posizione chiave. Cinzia Felci, per esempio, ex assistente del sindaco di Velletri Bruno Cesaroni, poi dirigente alla Regione. È promossa da Storace responsabile dell'ufficio di Bruxelles e poi confermata in questo ruolo da Marrazzo. L'ex presidente della Commissione per gli affari comunitari della Regione, Paola Brianti, denuncia ripetutamente la sua incapacità ad attrarre fondi comunitari e i costi di gestione spropositati dell'ufficio (oltre 12 milioni in sei anni). Ma Marrazzo, per tutta risposta, le toglie il saluto, come se la Felci fosse intoccabile. La Polverini, tuttavia, la porta ancora più in alto nominandola direttore del dipartimento per la programmazione economica e sociale.

La presidente condanna a parole i costi della politica, ma non perde occasione per promuovere se stessa e la propria giunta tappezzando il Lazio di manifesti inneggianti ai risultati della sua azione di governo. Né sembra turbata dalla proliferazione di commissioni e di gruppi consiliari formati da un unico rappresentante, privi di legittimazione elettorale. Accusa Rocco Berardo dei Radicali: «Le venti commissioni, di cui quattro cosiddette speciali istituite nell'era Polverini, costeranno 25 milioni a fine legislatura e altri 12 milioni se ne andranno per i cinque monogruppi, ognuno dei quali ha un presidente con relativa indennità più auto blu e la possibilità di assumere fino a sette persone per il funzionamento dell'ufficio». Ironia della sorte: una delle neocostituite commissioni (Olimpiadi Roma 2020 e grandi eventi) non ha potuto riunirsi per mesi perché il suo presidente, Romolo Del Balzo, era finito agli arresti domiciliari per un'inchiesta sulla raccolta dei rifiuti a Minturno, in provincia di Latina. La metafora perfetta della Regione Lazio.

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