Un governo solo per cambiare la legge elettorale? Poco realistico

Dalla Rassegna stampa

Per uno dei tipici paradossi della politica italiana, la nomina del nuovo ministro dello Sviluppo economico è avvenuta, dopo ben 150 giorni di «interim», quando la legislatura sembra avviarsi al suo epilogo. Nel momento, anzi, in cui non ci si domanda più «se» avremo le elezioni anticipate, ma quando e soprattutto come si andrà al voto. Il quando, è noto, non lo determina il presidente del Consiglio, bensì il capo dello Stato. Il che aiuta a capire le oscillazioni di Berlusconi, che un giorno si compiace per la fiducia ottenuta alle Camere, rallegrandosi per la lealtà dei finiani, e due giorni dopo pensa di votare in gennaio sull'onda dell'ennesimo scontro con i magistrati. Fosse per lui, lo scioglimento del Parlamento dovrebbe avvenire senza passare per le dimissioni del governo. Ma si dà il caso che non sia possibile. Se l'esecutivo non regge, come lascia intendere ogni giorno la Lega, Berlusconi dovrà dimettersi prima di ottenere le elezioni.
Ma nel momento in cui si dimette esce di scena e non potrà essere sicuro dell'esito del percorso istituzionale guidato dal Quirinale. Percorso che dipende da molti fattori, in primo luogo l'inesistenza di una diversa e convincente maggioranza nelle aule parlamentari. E qui veniamo al «come» si andrà al voto. Sta crescendo la pressione per cambiare la legge elettorale e ieri Bocchino, molto vicino a Fini, ha parlato in modo esplicito di una nuova maggioranza che potrebbe prendere forma, dalla sinistra ai finiani, al solo scopo di fare la riforma. Come si sa, l'idea di un governo che nasce per modificare il modello elettorale piace molto al centrosinistra. Ma è verosimile? Allo stato delle cose, la risposta è negativa. In primo luogo, nessun governo può nascere solo per cambiare la legge elettorale. Oltretutto lasciando all'opposizione le due forze, Pdl e Lega, che hanno vinto le elezioni del 2008. Se l'unico collante fosse questo, c'è da dubitare che il capo dello Stato darebbe il suo benestare.
Una maggioranza raccogliticcia, priva di una prospettiva, rischia di essere un danno per il paese. O meglio, avremmo un governo che nasce per evitare le elezioni piuttosto che per modificare la legge oggi in vigore. Del resto, non c'è alcun accordo tra le forze d'opposizione (più i finiani) su quali correzioni apportare al testo firmato a suo tempo dal leghista Calderoli. Testo, merita di essere ricordato, che il centrosinistra non sentì il bisogno di cambiare quando governò tra il 2006 e il 2008. Oggi, ad esempio, Veltroni è contrario a qualsiasi ritorno al proporzionale, che a suo avviso suonerebbe come abbandono del bipolarismo. E poi bisogna ricordare che anche l'asse Pdl-Lega ha qualche modifica da suggerire: ad esempio, come ha sottolineato Calderisi, l'introduzione di circoscrizioni ristrette con una «lista corta» di candidati. La speranza dell'opposizione è che un gruppo di deputati e senatori (soprattutto questi ultimi perché al Senato si gioca la partita cruciale) si stacchino da Berlusconi al momento opportuno. Non tanto per scrivere una nuova legge, quanto per procrastinare l'appuntamento con le urne. È un'operazione ad alto tasso di spregiudicatezza. E tuttora improbabile. Fra l'altro gli stessi finiani si troverebbero fagocitati a sinistra, mentre è evidente che l'interesse del presidente della Camera, occupato in questi giorni a dar vita al partito di Futuro e libertà, è quello di rappresentare una quota dell'elettorato di centrodestra.

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