Un fiume di soldi pubblici e controlli pari a zero

Dalla Rassegna stampa

Un revisore dei conti, uno dei cinque di Montecitorio chiamati a controllare i conti dei partiti, racconta: «Molto spesso noi riceviamo bilanci sui quali è apposta una firma, quella dell'amministratore del partito, ma non possiamo verificare che ci sia stata effettivamente un'assemblea di approvazione, chi vi ha partecipato, se il bilancio è stato esaminato o meno. Chi redige il bilancio se la canta e se la suona». È un alzare bandiera bianca. Lo strapotere dei partiti è totale, non consente neanche un vero controllo. Solo qualche forza, per esempio il Pd, ricorre alla certificazione da parte di una società esterna. Il resto è nella mani dei gruppi ristretti, il segretario amministrativo, revisori che dovrebbero controllare e non lo fanno, e organi esautorati. Ha confessato, Arturo Parisi, intransigente uomo della Margherita, dopo l'affare Lusi: «La riunione per il bilancio era fissata alla stessa ora delle nozze tra Renzo e Lucia». Cioè, una sera, all'improvviso, come Agnese tentò di fare con i due promessi sposi davanti a don Abbondio.

Tra leggi e referendum è stato sempre un alternarsi di scontri e intese per il controllo dei soldi. Un fiume di denaro che scorrono nella casse dei partiti, a partire dal 1974, anno della prima legge (la legge Piccoli, ndr) sul finanziamento pubblico dei partiti. C'è chi sostiene che a partire da quell'anno, nella casse dei partiti sono transitati oltre 6 miliardi dello Stato. Fino a quel momento, i partiti erano finanziati dagli industriali, dalla aziende pubbliche e da altre fonti esterne: gli Stati Uniti che aiutavano democristiani e socialdemocratici e Unione Sovietica che sosteneva il partito comunista e i socialisti fino al 1956. Ma i partiti, con le loro burocrazie sempre più pesanti, avevano bisogno continuamente di soldi. Più cresceva l'inflazione, maggiore era la richiesta sia allo Stato sia alle aziende. Nel 1980, i partiti tentarono il raddoppio dei fondi, ma il blitz falli. L'anno dopo il Parlamento, con la legge 659, diede il via libera al raddoppio delle somme e introdusse timidi tentativi di controllo. Ai partiti viene chiesto di presentare un rendiconto annuale su entrate e uscite, ma i controlli restarono blandi. Nel 1978 era fallito un referendum dei radicali per eliminare il finanziamento pubblico.

Gli anni Ottanta sono un campo di battaglia per le risorse. Cresce il debito, inflazione alle stelle, partiti affamati. È il decennio terribile che si conclude con la crisi fiscale del 1991-93 e con Mani Pulite. Un referendum, anche questo dei radicali, abroga la norma sul finanziamento annuale, restano i rimborsi elettorali. I magistrati spazzano via i vecchi partiti. Con la legge 2 del 1997 si tenta una nuova disciplina: rimborsi elettorali e gestione più trasparente, con controlli soli interni. Nascono 4 fondi (rimborsi per Camera, Senato, Regionali ed Europee) e si coinvolge, timidamente, la Corte dei Conti. Ma i partiti sono una «macchina mangiasoldi». Ogni tentativo di rigore fallisce. Fino alle cronache di questi giorni.

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