Un detenuto su quattro tossicodipendente

Dalla Rassegna stampa

 

C’è questo dato impressionante: nei 205 istituti penitenziari italiani, a metà 2009, il 25 per cento dei reclusi, uno su quattro, si è dichiarato tossicodipendente. C`è un piccolo calo, poiché nel 2007 erano il 27 per cento e nel 2008 il 33 per cento, uno su tre. Al Nord più del 60 per cento sono stranieri, al Sud in maggioranza italiani. Se aggiungiamo gli arrestati per violazione della legge sulla droga, cioè gli spacciatori non tossicodipendenti, si arriva a quest`altra cifra: circa il 60 per cento della popolazione delle carceri italiane è dentro per questioni legate alle droghe, dalla marijuana all`eroina, alla cocaina, alle pasticche, che l`ultima legge (Giovanardi-Fini) non distingue più fra leggere e pesanti. «Si possono prendere anche tre-quattro anni per un grammo» dice Franco Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze. Ma lasciamo in cella trafficanti e spacciatori. Sui tossicodipendenti, invece, c`è un pensiero comune fra le associazioni che si occupano di carceri, parte dei dirigenti del ministero della Giustizia, i principali sindacati degli agenti di custodia, le comunità di recupero: non dovrebbero stare in carcere, poiché sono allo stesso tempo vittime e autori dei reati che compiono, non sono in grado di autodeterminarsi, hanno bisogno di un aiuto per venirne fuori, non della violenza legata a un luogo di reclusione. Entrano di solito per piccoli e medi reati legati alla ricerca di droga, possono uscire criminali. E allora? «Il tossicodipendente - spiega Massimo Barra, fondatore della comunità di Villa Maraini a Roma, vicepresidente della Croce Rossa internazionale - deve essere trattato da persone che conoscono la sua condizione. Qui a Roma, spesso i carabinieri ci chiamano quando fanno un arresto. Diamo consigli e facciamo terapia. Certe volte vediamo accadere scene da libro Cuore: i carabinieri tirano fuori le sigarette, fanno il caffè per tutti... Abbiamo prevenuto migliaia di casi come quelli di Stefano Cucchi. Ma quella sera, il 15 ottobre, per Stefano Cucchi non ci chiamarono, non so perché. Una settimana dopo è morto e ora ci sono sei indagati fra agenti di custodia e medici». Per i tossicodipendenti arrestati tutto comincia proprio nelle caserme o in questura. Dice Barra: «Nella caserma di San Basilio la cella è un loculo, come una tana per un animale. Ma anche nella nuova caserma dei Parioli, le celle sono sottoterra, tavolaccio e cesso alla turca». Barra ricorda che scrisse al ministro dell`Interno Pisanu (governo Berlusconi, 2001-2006) per denunciare l`«inutile disumanità» di quelle celle. Non è arrivata nessuna risposta. Al Dap, direzione del ministero della Giustizia che amministra le carceri, ricordano che dal 2004 al 2007 funzionò un programma che si chiamava «Dap Prima». Al momento dell`arresto il tossicodipendente senza precedenti penali veniva «valutato» da un medico penitenziario, un educatore e uno psicologo e quindi avviato a una comunità terapeutica. Raramente gli arrestati tornavano in carcere. E poi? Finiti i fondi europei che finanziavano il progetto, finito tutto. È risuonata questa frase nei giorni scorsi, in certe stanze del ministero: Stefano Cucchi avrebbe di sicuro usufruito di «Dap Prima», potrebbe essere ancora vivo... La verità è che tutte le misure alternative al carcere sono in crisi. Parliamo di arresti domiciliari presso comunità, di sospensioni di pena per seguire programmi terapeutici, di affidamenti in prova sempre nelle comunità. Dice Alessio Scandurra, dell`associazione Antigone: “Tre anni fa più di 23 mila persone usufruivano di misure alternative, oggi sono circa un terzo. C`erano quasi 3.500 tossicodipendenti in affidamento in prova nel 2002, 3.800 nel 2006, diventati 800 nel 2008 e 1.200 quest`anno. Teniamo conto che sono recidivi, cioè tornano a compiere reati, 68 detenuti su cento, ma sono solo 30 su cento se consideriamo i beneficiari di misure alternative”. «Tra l`altro - dice Massimo Barra -sono stati sospesi i pagamenti. La comunità di Villa Maraini non ottiene rimborsi dallo Stato da un anno intero». Effetto, anche, del trasferimento delle competenze sanitarie in carcere dalla Giustizia alla Sanità, avvenuto senza trasferimento dei fondi. Così, la realtà è brutale. «Il tossicodipendente è un detenuto più "scomodo" degli altri - dice Franco Corleone -. Subisce spesso una "riduzione all`infantilizzazione". Tollera ancor peggio di tutti il sovraffollamento di questi tempi (oltre 64 mila detenuti in istituti che ne possono contenere 43 mila), le venti ore chiuso in cella. Chiama gli agenti dieci volte al giorno. Chiede, chiede, soprattutto di andare dal medico...». E la deputata radicale Rita Bernardini, che spende giornate in visita alle carceri: «Molti tossici cercano lo "sballo" con il gas dei fornelletti da campeggio utilizzati per preparare da mangiare. Una detenuta di 40 anni è morta recentemente a Lecce per aver inalato troppo gas. "Era tossicodipendente" ha spiegato il sottosegretario Caliendo». Al carcere di Buoncammino, Cagliari - raccontano al ministero - c`erano molti suicidi. Poi sono arrivati gli psicologi della Caritas, fanno almeno dieci colloqui al giorno, soprattutto con tossicodipendenti: da due anni, nessun suicidio. C`è la somministrazione del metadone, nelle carceri. Si fa un piano di scalaggio (dosi via via sempre minori) o di mantenimento, nei primi giorni dopo l`arresto. Poi il personale dei Sert più vicino (centro di assistenza per tossicodipendenti) o un Sert interno distribuiscono la sostanza. Il metadone è un sostitutivo. dell`eroina, per chi dipende da cocaina o da pasticche eccitanti, di solito c`è qualche calmante. In molte carceri entrano proprio le droghe, questo accade in tutto il mondo. Dice Eugenio Sarno, segretario degli agenti di custodia Uil: «Entra Lsd nella colla per francobolli, eroina sciolta nei sughi... Ci sarebbero i cani della polizia penitenziaria per cercare droghe custodite in carcere. Sono trenta, quasi tutti anziani, prossimi alla pensione. E gli agenti addetti erano 60 quattro anni fa, oggi sono 35...». Sarno, però, vuole parlare anche di certi istituti come Milano Bollate o Lauro in Irpinia, che sono molto avanzati per il trattamento dei tossicodipendenti: «Lì si fa da 15 anni scolarizzazione, alfabetizzazione informatica, si tenta davvero il recupero. Ma queste strutture non bastano». E conclude: «I tossicodipendenti devono essere curati, non ci dovrebbero stare in carcere».

 

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