Un cambiamento per la democrazia

Dalla Rassegna stampa

I nostalgici del consociativismo promuovono, oggi, una vecchia formula di Regime. Ha colto nel segno il direttore Arturo Diaconale quando, lo scorso sabato, nel suo articolo di fondo su L'Opinione, ha scritto: "Il consociativismo degli anni '70... rappresenta la madre di quella distorsione della democrazia che ancora oggi impera drammaticamente nel nostro paese". E così, da più parti, si propone un governo "di unità nazionale" o di "solidarietà nazionale" al solo scopo di coprire le gravi responsabilità di una classe politica che, di fronte al proprio fallimento, non vuole arrendersi all'idea di non essere stata all'altezza dei compiti che si era assunta.

Ormai da quarant'anni, infatti, l'eccezionalità e l'emergenza sono diventate la regola attraverso cui il Potere fine a se stesso giustifica, di volta in volta, le peggiori nefandezze e il furto sistematico di conoscenza e di democrazia ai danni dei cittadini. Quello che manca in Italia è, non a caso, la possibilità, da parte dei cittadini, di contare sulla libera circolazione delle idee. Senza la circolazione delle idee, infatti, si impoverisce lo spazio della conoscenza, si vanifica qualsiasi idea concreta e si distrugge l'essenza stessa della democrazia. Per questo motivo, la sfida da raccogliere, oggi, è una soltanto: quella di un cambiamento che possa portarci fuori dall'attuale campo della "democrazia reale" e portarci dentro il possibile terreno di una "democrazia liberale" a cui dobbiamo dare forma. Si tratta, come si può ben comprendere, di uno spazio liberale e democratico ancora tutto da conquistare. Si tratta, in altre parole, di comporre un terreno "altro" rispetto al monopolio della partitocrazia italiana o, per usare un'espressione cara a Marco Pannella, rappresentare quell'alterità che sia alternativa al "monopartitismo imperfetto".

In tale contesto, la vecchia formula del consociativismo, periodicamente riproposta dagli artefici e co-autori dell'attuale disastro, risponde all'esigenza di mantenere lo status quo del Potere dominante e verticistico, illiberale e anti-democratico, sia esso di centro, di destra o di sinistra. E un Parlamento composto da "nominati", certo, non aiuta. Anzi, aggrava la situazione e determina la corsa degli eletti a curare, non il proprio collegio o i propri elettori, ma i rispettivi capi di partito che, soli, possono assicurare la rielezione dei tanti pretendenti alla poltrona designando le candidature dall'alto e, quindi, determinandone la sorte nel momento in cui verranno composte le liste. Si tratta, infatti, di liste bloccate e senza preferenze. "La bellezza della lotta", come la chiamava Luigi Einaudi, vive dentro una visione liberale che presuppone, perciò, una sfida all'attuale "porcellum", cioè alla legge elettorale tuttora in vigore. Il cambiamento può venire se si riesce a comporre un terreno di lotta su cui poter far leva per una Riforma uninominale e maggioritaria del sistema di voto. In modo da realizzare quel processo di "rivoluzione liberale" che era stato avviato dalla vittoria referendaria del 18 aprile 1993 e che portò la stragrande maggioranza dei cittadini italiani ad esprimersi in favore di un modello elettorale basato su collegi piccoli e sul rapporto stretto tra l'eletto e il territorio. Proprio secondo la visione liberale di Luigi Einaudi. Insomma, non si tratta di discutere in astratto di un mero meccanismo elettorale, ma di porre il fondamento democratico e liberale di un paese che è stato gradualmente distrutto dalle reiterate controriforme volute dai fautori di quella che Marco Pannella definisce "democrazia reale".

La lettura che va fatta è, dunque, politica. In un sistema uninominale, infatti, l'elettore sceglie direttamente il proprio rappresentante votando tra un numero molto limitato di candidati, in genere due o tre, a seconda del modello politico di riferimento. In questo modo, creandosi una vicinanza diretta tra il candidato e l'elettore, si determina anche una conoscenza diretta del candidato, che permette ai cittadini di scegliere in maniera più consapevole.

Di conseguenza, con l'uninominale maggioritario, si provoca anche la possibilità di un rapporto di fiducia tra il cittadino e l'eletto, piuttosto che imporre, come accade oggi, il vecchio legame ideologico tra l'elettore e un astratto contenitore partitocratico presente sulla scheda elettorale. Infine, ma molto ci sarebbe ancora da dire e da scrivere, il sistema maggioritario consente di conoscere prima, cioè al momento del voto, l'alleanza o la coalizione che andrà a formare il governo.

Bisogna scongiurare, perciò, anche il pericolo che ritorni il vecchio malcostume partitocratico della Prima Repubblica: quando i governi si facevano e si disfacevano dentro il Palazzo, secondo le logiche anti-democratiche del Potere, in barba agli elettori. Insomma, la Riforma della legge elettorale, in senso uninominale e maggioritario, rappresenta l'avvio di quella che Piero Gobetti chiamava "la rivoluzione liberale".

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