Un appello sulle carceri: diventino più umane

Dalla Rassegna stampa
di Carlo Maria Martini 
Quando, nel febbraio del 1980, entrai a Milano, era prevista una  prima parte in automobile  e una seconda a piedi,  accompagnato da una  presenza di decine di migliaia di ambrosiani. Nella parte percorsa   in automobile vi fu un  momento nel quale  passammo vicino   a un luogo  dalle mura altissime.
Compresi subito che si trattava del famoso  carcere di San Vittore e diedi spontaneamente  la mia benedizione a tutti i carcerati che  vivevano là dentro. Dovetti imparare ben presto  che in carcere nonni sono solo detenuti  ma anche guardie carcerarie, militari, suore  come la beata Enrichetta (detta la madre dei carcerati), beatificata a Milano poco tempo  fa. Queste suore avevano deciso di vivere nel carcere per essere più vicine alle sofferenze  di cui erano testimoni.
Quando iniziai la visita pastorale, cominciando  proprio dal carcere di San Vittore,  venni a contatto diretto con tali sofferenze,  soprattutto compresi che quella del sovraffollamento  era quella da cui scaturivano molte delle altre. Le carceri che visitavo erano tutte  piene sino all`inverosimile, ben al di là della  loro capienza normale. In una cella per tre  persone ne dormivano sei. Tutto questo conduceva  a che il carcere divenisse non un luogo  di redenzione, ma, per tanti, una ulteriore  scuola di delinquenza, nella quale i detenuti  più giovani venivano tenuti in balia dei vecchi.   Quante volte sono intervenuto per denunciare  questo scandalo! Del resto questo costituiva  un punto monotonamente fisso per il discorso dei Procuratore all`inizio dell`anno  giudiziario. Egli soleva insistere sulla eccessiva  lunghezza dei processi e il conseguente ingorgo  delle cause.    Capisco bene che il rimedio a questo stato  di cose era legato a una qualche modifica legislativa,  fatta da esperti, e che il Parlamento  era responsabile di omissione in questa materia, dove emerge la negazione di diritti  umani. I veti incrociati delle varie posizioni e opposizioni non avrebbero mai risolto nulla.   
Debbo anche testimoniare che alcuni carcerati  venivano radicalmente scossi dalla realtà  del carcere e facevano, con l`aiuto dei  cappellani, un vero processo di conversione.  
Non mi meravigliavo di questa potenza di  Dio, legata spesso alla conoscenza della Parola. Tuttavia è sempre preferibile che questo  cammino avvenga fuori delle realtà del carcere,  che è piuttosto incline a favorire la nuova  delinquenza. Perciò il fatto che tale questione  rimanga ancora aperta come una ferita dolorosa  mi turba profondamente.    
 

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