Ultimo appello di Obama, poi il "momento storico"

Dalla Rassegna stampa

Una domenica di fuoco. Dirette televisive su tutti i canali via cavo, interminabili dibattiti alla radio e siti dei giornali presi d'assalto dal pubblico desideroso di partecipare alla discussione. «Il momento è storico» sostenevano i democratici. «E' storico, sì, ma solo in senso negativo» rispondevano i repubblicani.
Così si è arrivati ieri al voto sulla legge di riforma della sanità, con un'ultima convulsa volata da parte della Casa Bianca per ottenere i voti di un pugno di indecisi. Dopo nove mesi di battaglia, e dopo essere quasi stata approvata tre mesi fa, la riforma era a un passo dall'approvazione: un pacchetto da 940 miliardi di dollari destinato a garantire la copertura a 32 dei 40 milioni di americani che ne sono sprovvisti, e imporre severe limitazioni all'onnipotenza delle società di assicurazione.
Per vedere la legge approvata alla Camera, e poterla firmare, Obama doveva "conquistare" almeno 216 deputati. Ma un gruppetto di conservatori non riusciva a decidersi di dire sì, e ha ottenuto dal presidente un decreto "ad hoc" in cui si dichiarava solennemente che non sarà ammesso l'utilizzo di fondi federali per ripagare casi di interruzione volontaria della gravidanza. Il negoziato ha fatto slittare i lavori, e ha innalzato ancor di più la suspence intorno al risultato finale. E a rendere la giornata ancor più bollente, fuori dal Campidoglio si era riunita una folla di oppositori della legge, che non hanno risparmiato gli insulti ai deputati democratici che si recavano in aula per il voto. Già il giorno prima, in una manifestazione del gruppo conservatore di base "Tea Party", alcuni dimostranti avevano gridato ingiurie a sfondo razzista e omofobica ai danni di alcuni deputati. E ieri la presidente della Camera, Nancy Pelosi, li ha sfidati, recandosi al voto sottobraccio con il deputato di colore John Lewis, un eroe della battaglia per i diritti civili degli anni Sessanta. In mano. con un aperto richiamo simbolico, la signora portava il martelletto con cui nel 1965 l'allora presidente della Camera John McCortnack finalizzò le due storiche leggi per i diritti civili dei neri e per l'assistenza sanitaria per gli anziani.
La rabbia e l'aggressività degli oppositori deriva dalla convinzione che la legge rappresenti un gigantesco intervento statalista, che per di più ingigantirà il defict federale. In realtà la legge discussa ieri è molto lontana dalle proposte iniziali che erano sul tavolo mesi fa. La parte più "liberal" di quelle proposte si è persa per strada, e difatti Obama ha avuto qualche problema a ottenere il "si" dei deputati più progressisti, delusi da questa versione "all'acqua di rose". Ma anche così, il presidente ha difeso la riforma come un momento di eccezionale importanza per il Paese, e nelle ultime settimane ha combattuto con un'energia mai dimostrata prima. Secondo il New York Tirnes, questa sua "riscossa" è stata studiata a tavolino con Nancy Pelosi e il suo collega del Senato Harry Reid: «Noi ci giocheremo il collo - avrebbe detto Nancy a Obama -. Ma tu devi essere con noi in tutto e per tutto».
Ben sette presidenti prima di Obama hanno tentato simili riforme, senza mai riuscirci. L'ultimo, Bill Clinton, pagò anche un grave prezzo alle elezioni di metà mandato, quando il suo partito perse sia alla Camera che al Senato. Il rischio esiste ora anche per Obama, che deve proteggere il partito democratico all'appuntamento del prossimo novembre, quando si rinnova l'intera Camera e un terzo del Senato. Proprio per aiutare i deputati più esposti, il presidente ha lavorato dietro le quinte per cercare di assicurarsi i voti di quelli che provengono da distretti elettorali più progressisti, lasciando in pace i più conservatori a rischio di essere scalzati dai repubblicani. Questi ultimi sono comunque agguerriti, e hanno promesso che se la legge passa, la loro campagna elettorale sarà concentrata sulla promessa di cancellarla durante la prossima legislatura.

 

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