I tunisini non sono «sfollati»

L'atteggiamento come minimo ostile della commissione europea contro il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, non è solo il frutto di un'opposizione politica. Le mosse di Maroni di fronte alle scelte e ai principi di Bruxelles sono sempre state problematiche, fin dal suo insediamento nel 2008. Ieri una tensione accumulata ormai da tre anni è esplosa. Bastano due esempi di norme europee gestite dal ministro dell'Interno italiano, fresche di dibattito di questi mesi, a spiegare tutto. L'ultimo caso è proprio quello di ieri mattina: Maroni porta alla riunione con i 26 colleghi la richiesta di applicazione della direttiva n. 55 del 2001:«Norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati». La «protezione temporanea» è espressione richiamata dal permesso di soggiorno che sarà concesso a breve ai tunisini presenti nelle tendopoli: ne sono giunti l4mila, potrebbero essere però di meno. Maroni chiede l'applicazione della direttiva perché ripartisce tra tutti gli stati gli oneri dell'afflusso di immigrati, insomma «coinvolge l'Europa» in concreto come l'Italia chiede da un pezzo. Peccato che la Commissione non poteva che dirgli di no: la direttiva allora fu approvata dopo la tragedia del Kosovo e infatti, all'articolo 1, si precisa che vale «nei casi di afflusso massiccio o di imminente afflusso massiccio di sfollati provenienti da paesi terzi che non possono rientrare nel loro paese d'origine». E per la Tunisia proprio così non è. Lo stesso Maroni ha detto più volte che i tunisini sono «migranti economici» e non sfollati. C'è in ballo, poi un accordo di rimpatri tra Roma e Tunisi: il rientro in patria, dunque, non solo è possibile, ma auspicato e sollecitato.
A molti sfugge, poi, che l'Italia invece non recepisce un'altra direttiva non da poco: la n. 155 del 2008, guarda caso proprio sui rimpatri. A Maroni quella norma non piace affatto, perché mette in crisi due pilastri della politica leghista e di governo, la formulazione del reato di clandestinità e la detenzione nei Cie (i centri di identificazione ed espulsione) previsti dalla Bossi-Fini.
Il titolare del Viminale ha detto che occorre «disinnescare» quella direttiva e da mesi ipotizza un decreto legge ad hoc che però non vede ancora la luce. Anche perché «la direttiva prevede un percorso graduale, non l'immediato arresto per i rimpatri - osserva Mario Staderini (Radicali) - e la reclusione nei Cie è solo l'extrema ratio. Dovevamo recepire la norma europea entro il 24 dicembre 2010 aggiunge Staderini - e ora invece scatterà una procedura di infrazione di Bruxelles».
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