Tunisi si infiamma Spari sui manifestanti

Dalla Rassegna stampa

Il coprifuoco proclamato due giorni fa dalle autorità tunisine non ha funzionato. Ancora morti. Nella notte tra mercoledì e giovedì, anche a Tunisi. E poi durante tutta la giornata, ieri, nella capitale e in altre zone del paese.
 
La conta delle vittime, sempre provvisoria e incerta, si è fermata a 23, secondo le fonti ufficiali. O 66, secondo la Federazione internazionale per i diritti umani. Compresi due stranieri, un francese e una svizzera, entrambi con il doppio passaporto.
 
Ieri a Tunisi testimoni raccontavano di colpi sparati in sequenza e di ambulanze che attraversavano le strade della capitale a sirene spiegate, alla vigilia dello sciopero generale di due ore indetto per questa mattina. Da martedì notte le proteste dei giovani sono arrivate al cuore del potere. E da lì non se ne sono più andate. Le violenze hanno raggiunto il quartiere Lafayette, il centro economico e commerciale della capitale, dove si trova anche l’edificio della Banca centrale. I manifestanti in piazza sono stati dispersi con i lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Anche la sede centrale del principale sindacato nazionale, Ugtt, ieri era ancora circondata dalle forze di sicurezza. Tunisi somiglia sempre più a un campo di battaglia, con le periferie urbane che premono sul centro. Le colonne di fumo si levano in cielo numerose, e i blindati militari, i soldati e la polizia completano il quadro di un paese che sembra andare alla deriva.
 
Dopo la sostituzione del ministro degli interni, mercoledì, ieri il presidente El Abidine Ben Ali ha ordinato di abbassare i prezzi sui prodotti alimentari di base, il cui costo eccessivo era stato uno dei motivi delle proteste. Gli altri, l’alto tasso di disoccupazione - soprattutto tra i giovani con un titolo di studio -, la corruzione e la repressione esercitata sulle opposizioni e sulla popolazione da un élite politica incollata al potere da 23 anni, per ora rimangono tali e quali.
 
Ben Ali ha fatto annunciare, per la serata, un suo intervento televisivo, di cui non facciamo in tempo a rendervi conto. Tra voci di golpe sempre più insistenti e dissidi tra i vertici militari, Ben Ali - che qualche giorno fa aveva dato dei terroristi ai manifestanti violenti - sta tentando di ritrovare un equilibrio di potere alternativo. Dopo aver silurato i due consiglieri più stretti, Abdel Aziz Bin Dhiya e Abdel Wahab Abdullah, il presidente avrebbe nominato l’ex giornalista ed ex ministro delle telecomunicazioni Osama Ramadani come suo consigliere personale. Ci sono inoltre notizie, non confermate, secondo cui la famiglia presidenziale e il figlioccio miliardario di Ben Ali, el Materi, avrebbero abbandonato il paese per il Canada.
 
 Finora è rimasto inascoltato l’appello delle opposizioni, che per uscire da questa situazione tragica hanno proposto a Ben Ali un governo di unità nazionale. Lo ha chiesto, insieme alle elezioni anticipate, May Eljeribi, del Partito democratico progressista, prima donna alla guida di un partito nel Maghreb. Ieri c’è poi stato un incontro tra il premier Ghannouchi e tre esponenti dell’opposizione per cercare una via d’uscita condivisa alla crisi.
 
Gli scontri tra la popolazione e le forze dell’ordine continuano anche in altri centri urbani del centro sud. Douz, Thala, Sfax. E a Gabes, un importante distretto minerario sulla costa, dove è stato incendiato il palazzo del tribunale e dove, pur in assenza di notizie certe, alcuni testimoni hanno raccontato dell’uccisione di sei persone e di almeno diciotto feriti. Ieri a Sidi Bouzid, dove tutto è cominciato lo scorso dicembre, un serpentone di circa diecimila persone ha marciato per le vie del centro scandendo slogan che chiedevano libertà, d’espressione e di riunione. Il pane, da solo, non basta.

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