Troppi codici rossi, così non ci crederà più nessuno

Dalla Rassegna stampa

E dunque su Roma i temporali sono arrivati in serata ma non si è trattato dell’annunciato Armageddon pluviale.

 

Qualche criticità nella notte su Lazio, Campania, Sicilia e Friuli è da mettere in conto, ma i sacchi di sabbia, l’ordine di non uscir di casa e gli annunci esasperati erano di troppo.

 

è dalla grave alluvione del Po del 15 ottobre 2000 che le informazioni meteorologiche dimostrano attendibilità ottimale per programmare un serio allertamento preventivo. Ma ad oltre dieci anni da allora, ciò che ancora manca è il coordinamento della diffusione degli avvisi, che soffre pure della frammentazione delle fonti, pubbliche e private, moltiplicate dalla rete, nonché la formazione dei comunicatori dell’emergenza e l’educazione al rischio del pubblico.

 

Tutte operazioni che necessitano di programmazione a lungo termine, di azioni preventive nelle scuole, nei mezzi d’informazione, serenamente pianificate quando splende il sole, e non di affannose improvvisazioni a poche ore dall’emergenza. La perturbazione c’era, è stata correttamente prevista e aveva in sé il potenziale per produrre nubifragi, allagamenti e disagi al traffico. Ma si è preferito coniugare tutto all’indicativo piuttosto che al condizionale, usare i superlativi assoluti invece di quelli relativi, non avere cautela e rispetto per la terminologia, che conta moltissimo nella comunicazione del rischio.

 

Come per i terremoti, anche in meteorologia si usano scale di pericolo: gli uragani hanno la Saffir-Simpson con intensità crescente da uno a cinque, i tornado hanno la Fujita, da F0 a F5, le grandinate si classificano con la scala Torro, da H0 a H10. Le piogge alluvionali in genere in Europa si suddividono in tre livelli – come in Francia - o cinque – come in Svizzera - con codici colore dal verde al rosso. Il fronte temporalesco di ieri poteva ragionevolmente classificarsi a un livello moderato, un arancione, ovvero non al massimo grado se comparato con altri recenti episodi disastrosi, quali le alluvioni venete del novembre 2010, il nubifragio delle Cinque Terre del 25 ottobre scorso o quello successivo su Genova del 4 novembre 2011. I comunicati dovevano dunque attirare l’attenzione su uno stato di vigilanza attiva delle persone e di preparazione degli organi di manutenzione e di pronto intervento.

 

Creare aspettative così inquietanti non era giustificato per tale categoria di evento, soprattutto in quanto la natura temporalesca dei fenomeni, a macchia di leopardo e difficili da localizzare, escludeva a priori sia il coinvolgimento contemporaneo di un vasto territorio, come accade nelle piene maggiori sui corsi d’acqua di ordine superiore, sia la certezza di occorrenza su zone fortemente urbanizzate, lasciando un carattere di aleatorietà che non interviene nel caso di perturbazioni più vaste, organizzate e durature per le quali l’allarme può essere più preciso. Come nel caso dell’uragano Irene su New York nell’agosto 2011, che indusse correttamente il sindaco Bloomberg a evacuare parte della città, colpita poi soltanto di striscio. Insomma, ora che le previsioni son fatte, bisogna fare gli utenti e i comunicatori, altrimenti emerge lo spettro - temutissimo da ogni operatore del rischio - del vano grido «al lupo, al lupo».

 

Alla prossima previsione in codice rosso, chi crederà più ai bollettini?

 

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