«Troppe ipocrisie, non mi ingabbiano»

«Ipocrisie» aveva sospirato Silvio Berlusconi, alzando lo sguardo dagli appunti che gli erano stati preparati per il suo discorso in Parlamento: «Vorrebbero che leggessi tutte queste ipocrisie. La politica è ipocrita». E la politica oggi imporrà al presidente del Consiglio e al presidente della Camera, di ritrovarsi ancora alleati dopo il voto di fiducia, sebbene i due non facciano ormai velo di considerarsi acerrimi nemici.
Infatti Berlusconi continua a dire che Gianfranco Fini ha stretto un patto con i magistrati per offrirgli la sua testa, malgrado l'ex leader di An l'abbia smentito ripetutamente. E Fini continua a vedere l'ombra di Berlusconi dietro i dossier sul «caso Montecarlo», nonostante il premier l'abbia negato a più riprese. Non sono più sospetti ma certezze che da tempo coltivano, eppure continuano a restare insieme, vincolati da esigenze diverse e convergenti.
Perché «l'Italia sta affrontando una curva a gomito», così sostiene il capo del governo, frase sulla quale concorderebbe di sicuro anche l'inquilino di Montecitorio. Se non fosse che per il Cavaliere «è Fini l'ostacolo», e viceversa. E dato che la ricomposizione è impossibile, sarà inevitabile il regolamento di conti, che anche oggi però subirà un rinvio, se è vero che Berlusconi a sentire il presidente della Camera non avrebbe l'autosufficienza a Montecitorio, «e senza il gruppo di Futuro e Libertà non avrebbe i numeri in Parlamento per andare avanti».
Sarà più avanti che si consumerà il duello. Ma almeno su un punto, già adesso, il premier vorrebbe non rassegnarsi alle «ipocrisie della politica», e la tentazione di cambiare il passaggio del discorso sulla giustizia ancora ieri sera non lo aveva abbandonato. E quello in fondo il nodo, ed è così che non potendo fare a meno del voto dei futuristi - Berlusconi vorrebbe costringere quel gruppo a dargli la fiducia su un progetto di riforma draconiano. Sarebbe una prova di forza rischiosa e non si sa fino a che punto calcolata, che farebbe perno sulle divergenze profonde tra i deputati del Fli e su un aspetto tutt'altro che secondario: come potrebbero i finiani che stanno al governo non votare la fiducia al governo?
Così nella cartellina del Cavaliere sono ricomparsi alcuni appunti che se venissero letti in Aula sarebbero il segnale di guerra rivolto alle toghe e al presidente della Camera. Da giorni Gianni Letta e persino Niccolò Ghedini lo invitano ,a desistere: toccare l'obbligatorietà dell'azione penale sarebbe come maneggiare materiale radioattivo, tornare a puntare sulle intercettazioni e sul processo breve provocherebbe una dura reazione. Ma Berlusconi nel suo discorso vorrebbe almeno evocare questi temi, ribadendo formalmente la volontà del governo di varare la riforma costituzionale della giustizia, con un doppio Csm e la separazione delle carriere dei magistrati.
Molto probabilmente il Cavaliere si muove fuori tempo massimo, perché è difficile immaginare una simile «rivoluzione» in una legislatura dove di fatto non dispone più, almeno non ora, di una propria maggioranza. Il premier ne fa tuttavia «un punto d'onore», così dice, ed è pronto a inserire nel suo intervento anche la riforma. della legge sulla responsabilità civile dei magistrati: «Senza la responsabilità dei magistrati - è il suo convincimento - non c'è giustizia. Perché questi funzionari dello Stato confondono spesso il loro giudizio con la verità». C'è in questa frase di Berlusconi un che di politico e molto di personale. C'è nel suo desiderio di non condannarsi alla «ipocrisia della politica», l'idea di andare presto allo show down con Fini «e con i suoi veri alleati: i magistrati».
D'altronde, sembra destino, così come la prima Repubblica è morta soffocata dal nodo scorsoio della giustizia, anche la Seconda è appesa alla stessa sorte. Non a caso il presidente della Camera aveva impugnato nei mesi scorsi il tema della legalità, e sotto quella bandiera stava chiamando a raccolta per lo scontro finale con il Cavaliere. L'«affaire Montecarlo» gli ha scombinato i piani, l'ha costretto sulla difensiva, segnando fortemente la sua immagine e bloccando il suo progetto. Per portarlo avanti è pronto a gesti clamorosi, non ora però.
Così oggi si consumerà il rito della «politica ipocrita», come lo chiama Berlusconi, che pure è tentato di rompere quel velo sulla giustizia e passare al contrattacco. L'operazione è chiara, il risultato incerto: se riuscirà ad abbattere «l'ostacolo», cioè Fini, ritiene che la legislatura possa andare avanti: «Se l'Italia supera la curva a gomito, poi ci attende il rettilineo». Ed è evidente che «l'Italia» per il Cavaliere è la proiezione della sua stessa immagine, dato che una volta lasciata alle spalle quella curva, sconfitto quindi il presidente della Camera «non ci sarà bisogno di andare a votare e avremo il vento alle spalle, grazie alla ripresa dell'economia».
Ma è sulla giustizia che si andrà allo scontro, e il premier vorrebbe usare il tema come un grimaldello nel discorso alle Camere, per iniziare a scardinare il variegato gruppo finiano, costringendo i parlamentari e gli uomini di governo di Futuro e Libertà alla «scelta di campo». R punto è se l'offensiva avrà successo, non oggi, ma fra qualche mese. Perché resta sullo sfondo il rischio che si aprano pericolose crepe tra i parlamentari del Pdl, se Berlusconi decidesse di aggirare «l'ostacolo» puntando alle urne.
La corsa ai numeri in Parlamento a questo serve, e oggi con il voto di fiducia si verificherà se aveva ragione il presidente della Camera o il premier, che attraverso il ministro Frattini ieri ha annunciato di aver raggiunto «quota 316» a Montecitorio «senza i finiani». Dipenderà anche da questo se il Cavaliere leggerà quegli appunti dirompenti o si rassegnerà al testo del discorso che gli era stato preparato. Quello «pieno di ipocrisie».
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