La tregua nel centrodestra sembra già archiviata

E' come se si fosse iniziato un altro braccio di ferro per misurare i rapporti di forza: quelli creati dall’aggressione di domenica scorsa a Milano contro Silvio Berlusconi. Gli equilibri sono cambiati. Il presidente del Consiglio si è rafforzato sull’onda dell’emozione e dello sdegno. Ed i suoi avversari, veri e presunti, dentro e fuori dal Pdl, si ritrovano con spazi di manovra più stretti. Così, da una parte il centrodestra si sente legittimato ancora di più a procedere con la sua tabella di marcia; e forza i tempi in Parlamento. Dall’altra il Pd è sulla difensiva. Deve smarcarsi dagli estremisti; e insieme arginare la maggioranza: un’accelerazione che vede Gianfranco Fini schierato contro quelli che ritiene gli oltranzisti del Pdl.
Insomma, sembra che gli appelli ripetuti di Giorgio Napolitano a misurare le parole siano stati relegati in un angolo. È bastato che il governo chiedesse la fiducia sulla Finanziaria per riproporre lo schema dello scontro frontale. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti è additato dal Pd come un prepotente. E il presidente della Camera viene lodato dal centrosinistra ma attaccato dagli alleati per aver definito «deprecabile» la decisione del governo. Con Berlusconi fuori scena, si ripropone lo scontro fra gli uomini del premier e Fini: perfino più lacerante di prima.
Dipende da una lettura diversa di quanto è successo domenica. Per il Pdl, si è trattato di un gesto figlio dell’odio verso il premier; non compensato dalla visita del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, all’ospedale San Raffaele di Milano; e soprattutto contraddetto dall’insistenza degli attacchi di Antonio Di Pietro, alleato di Bersani. Le scritte apparse qui e là per esaltare l’aggressore di Berlusconi alimentano i veleni. Nella coalizione, Umberto Bossi ha parlato di «attentato terroristico». E le parole dette ieri dal capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, sono un tentativo di spingere il Pd a rompere con l’Idv e a fare conti con l’antiberlusconismo. Quelle di Cicchitto sono parole da «incendiari travestiti da pompieri», obietta però Bersani. Il problema è che l’analisi del segretario del Pd appare condivisa dallo stesso Fini: a suo avviso allontanano qualsiasi tregua.
Non è una novità: anche in passato, Fini aveva rivendicato in modo puntuto le prerogative della Camera e del Parlamento nei confronti di Palazzo Chigi. Ma, appunto, era successo «prima di piazza Duomo». Il fatto che il contrasto riaffiori sembra dire che nonostante tutto rimangono intatte le distanze fra il Pdl e la terza carica dello Stato. L’irritazione della maggioranza nasce da qui: dalla sensazione che Fini voglia mettere fra parentesi quanto è accaduto; che non accetti a livello parlamentare il mutamento che l’agguato a Berlusconi ha provocato nell’opinione pubblica.
Eppure, in una telefonata fatta ieri al premier, il presidente della Camera ha cercato di spiegare che i suoi inviti al dialogo sarebbero un aiuto e non uno sgambetto al governo; mentre Tremonti e Cicchitto rischierebbero di destabilizzarlo. Ma è difficile che Fini riesca a spuntarla. Berlusconi fa sapere dal suo letto d’ospedale, dal quale dovrebbe uscire oggi, di essere «forte e sereno». Ed invita i suoi ad andare avanti. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, si prepara ad una stretta sui siti web che hanno gioito per il gesto criminale di domenica, e a regolamentare le manifestazioni di piazza. Soprattutto, a primavera del 2010 ci saranno come minimo le regionali. Si sa, le scadenze elettorali non sono l’orizzonte più adatto per porgere la mano agli avversari: tanto più se ci si sente in vantaggio. E l’assenza di Berlusconi pesa più del previsto.
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