Tredici anni dopo la rimonta degli eredi di Lady Tatcher

Fu la partecipazione all’avventura bellica irachena a sbriciolare inesorabilmente la popolarità di Tony Blair. Il sole del New Labour, che aveva a lungo brillato nel firmamento politico britannico, si offuscò, ed il passaggio di consegne da Blair a Gordon Brown non ne arrestò il tramonto. Lo sgomento provocato dalla crisi economica del 2008, l’indignazione per gli scandali sui rimborsi illegalmente percepiti per alcune spese private da ministri e deputati, la freddezza nel rapporto fra i cittadini ed un premier dalla personalità così poco comunicativa come Brown, contribuirono tutti assieme al declino del partito.
In condizioni simili era fisiologico un ritorno di fiamma dell’altra grande formazione dello schieramento politico nazionale, i Conservatori. Ma la gran parte degli osservatori dubita che il recupero dei Tory sarebbe avvenuto in maniera così consistente se al vecchio leader Michael Howard nel 2005 non fosse subentrato un dirigente giovane, energico, e in molti modi non assimilabile agli schemi ideologici tradizionali della destra storica britannica, come David Cameron. Cameron, 43 anni, ha compreso quello che dall’altra parte della barricata aveva capito negli anni novanta Tony Blair. Senza un cambiamento il partito poteva solo malamente sopravvivere a se stesso. Aggiornare i programmi ed entrare in sintonia con un panorama sociale profondamente modificato era la strada per ricucire i rapporti con il proprio elettorato abituale, ma soprattutto contendere agli avversari i consensi della zona intermedia della società e delle fasce d’eta più giovani in particolare.
Blair aveva chiuso con l’ideologismo settario che permeava ancora una parte minoritaria ma non trascurabile del suo partito, e sul terreno economico aveva coniugato in lingua laburista concetti come mercato e flessibilità, spiegando a compagni ed amici come ciò si poteva armonizzare con il mantenimento del ruolo regolatore dello Stato e con un welfare moderno. Cameron sta percorrendo il cammino inverso, introducendo nel gergo politico conservatore concetti sinora rimasti largamente estranei. Il welfare non è più sinonimo di spreco. Il servizio sanitario nazionale (Nhs), difeso in passato dalla sinistra come fattore di uguaglianza e solidarietà, ed attaccato invece dalla destra come carrozzone inefficiente e costoso, oggi trova in Cameron un paladino convinto. La salute è l’unico settore, assieme a quello degli aiuti ai paesi in via di sviluppo, nel quale il leader tory non propone tagli drastici. Il programma conservatore prevede una forte riduzione dell’enorme deficit di bilancio britannico già a partire dall’anno in corso, nel quale sono previsti risparmi per 6 miliardi di sterline.
La tradizionale tendenza a tenere il più possibile lo Stato fuori dall’economia viene temperata da una inedita sensibilità sociale su un terreno caro al cittadino medio, come è quello dell’accesso a cure mediche per tutti.
Sull’altro piatto della bilancia Cameron mette i tagli ingenti che intende realizzare nel settore dell’istruzione. Qui riscopre un cavallo di battaglia della destra, utilizzando però tra l’altro anche strumenti inventati da Blair, con l’opposizione di una parte del Labour: le Academy Schools. Sono istituti di istruzione secondaria indipendenti dal controllo delle autorità locali e gestiti da soggetti privati. Cameron promette incentivi e facilitazioni a individui, cooperative, fondazioni, che intendano avviarne di nuove.
Il programma tory è una miscela di ammiccamenti a una parte ed all’altra della società. Ai ceti più abbienti regala l’annullamento della misura annunciata da Brown per aumentare dell’uno per cento i contributi previdenziali a vantaggio di chi guadagni meno di 35mila sterline all’anno. Allo stesso target è diretto l’innalzamento della soglia oltre cui si pagheranno le imposte di successione. Ai ceti popolari
preoccupati dall’aumento dell’immigrazione offre un piano per riportarla ai livelli degli anni novanta, e un tetto all’afflusso di cittadini non europei. Cameron è sufficientemente spregiudicato da infrangere tabù secolari del tradizionalismo tory, riconoscendo i diritti degli omosessuali come parte di un impegno a favore delle «libertà civili», e inserendo nella lista di priorità politiche la tutela dell’ambiente, snobbata dai predecessori. Non a caso lui stesso ha coniato per la sua visione un’espressione suggestiva: «conservatorismo progressista».
La convivenza delle proposte e delle idee evocate da un binomio terminologico così contradditorio è evidentemente ardua. Se saranno i conservatori a guidare il Paese nei prossimi anni, capiremo presto se il Regno Unito ha scoperto a destra un nuovo statista della stoffa di Tony Blair o un semplice trombettiere dal fiato corto.
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