I tre volti dell'Islam politico

Dalla Rassegna stampa

Con la primavera araba l'Occidente, scottato dall'11 settembre e dalle avventure militari in Afghanistan e Iraq, ha pensato che questa poteva essere l'occasione per una rivincita. Guardava con soddisfazione alle piazze di Tunisi, Cairo, Bengasi, Damasco.

Qui giovani idealisti si facevano massacrare in nome della libertà e della lotta a dittatori senescenti che in alcuni casi avevamo appoggiato fino all'ultimo respiro. Finalmente potevamo scegliere tra i musulmani buoni e quelli cattivi. Una pretesa che si è rivelata illusoria. Il potere non è andato ai giovani carbonari di internet e Facebook ma, come prevedibile, ai movimenti islamici.
L'Islam politico ha almeno tre volti. Quello di movimenti e partiti legati ai Fratelli Musulmani - associazione fondata dall'egiziano Hassan al Banna nel 1928, di stampo conservatore e tradizionalista - che grazie alla loro capacità di penetrazione sociale riscuotono larghi consensi popolari. I Fratelli Musulmani sono una sorta di multinazionale ideologica che va dall'Egitto al Maghreb, dalla Siria alla Palestina, alle monarchie del Golfo. Un'altra corrente, più radicale, è costituita dai salafiti, la cui interpretazione del Corano e della sharia, la legge islamica, propugna un ritorno alla purezza delle origini: per fare un esempio predica la distruzione delle tombe dei santi come è avvenuto a Timbuctù e in Libia.

I salafiti possono trovarsi anche tra i Fratelli Musulmani e percepire la politica come lo strumento per instaurare uno stato islamico, oppure ingrossare i ranghi della guerriglia e del terrorismo.
Questi gruppi esistevano prima che Osama bin Laden fondasse Al Qaeda, un'operazione di marketing dell'estremismo e del terrore che con l'11 settembre ha venduto il suo franchising in tutto il mondo musulmano. In Afghanistan è quasi scomparsa ma sopravvive in Pakistan, nelle sue branche del Maghreb, dello Yemen e trova affiliazioni nei gruppi jihadisti africani e mediorientali. In questi ultimi 25 anni ho avuto a che fare, anche direttamente, con dozzine di organizzazioni intestate alla Jihad, alla guerra santa, o agli Ansar, i compagni del Profeta, i partigiani dell'islam. Alcuni di questi marchi sfioriscono dopo una breve stagione, altri resistono, si trasformano e quando qui in Occidente sappiamo poco o nulla degli eventi sfoderiamo il brand di Al Qaeda. Ma i qaidisti sono più astuti di noi, se è vero che Mohammed al Zawahiri, fratello di Ayman, successore di Bin Laden, l'altro giorno stava in piazza Tahrir a protestare davanti all'ambasciata americana.

Faceva notare qualche giorno fa Ala Al Aswani, autore di Palazzo Yacoubian, a lungo in Egitto il secondo libro più venduto dopo il Corano: «Il presidente Morsi continua a rilasciare i detenuti che appartengono come lui ai movimenti dell'Islam politico e allo stesso tempo non vuole usare il suo potere di grazia per rilasciare gli attivisti civili, processati dai militari, perché non sono islamisti».

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