Le tre scimmie e Frattini

Il 1 primo febbraio aveva detto: quello che sta accadendo in Egitto deve "essere una lezione per tutti". Ospite di Matrix, Franco Frattini aveva aggiunto di sperare che il leader libico Muhammar Gheddafi stesse "guardando la tv e riflettendo su quello che può fare per il suo popolo". Il ministro degli esteri rispondeva a Emma Bonino, vice-presidente del Senato, che gli sollecitava una riflessione, in termini di diritti dell'uomo, sulla Libia e sondava la possibilità di rivedere l'Accordo tra Roma e Tripoli che mette la sordina proprio alle violazioni sui diritti. "Non credo che ci sia la possibilità di rivedere l'Accordo" sosteneva Frattini sottolineando, poi, che la stabilità della Libia come quella dell'Egitto e della Giordania, "è importante per tutti noi". Qualche giorno prima, a Che tempo che fa, il ministro aveva riconosciuto al Colonnello dittatore il merito "di tenere sotto controllo una situazione altrimenti esplosiva".
Lasciamo stare che alla vigilia di Matrix, Frattini con i colleghi dell'Ue, aveva sponsorizzato una transizione ordinata in Egitto e che di lì a poco i leader dei 27 avrebbero addirittura chiesto una transizione subito, correndo dietro agli eventi invece che cercare di influenzarli: peli nell'uovo (diplomatico). Quel che qui ci importa è che le parole del ministro dicono - e non è una sorpresa - che i patti con la Libia e l'amicizia con Gheddafi sono più importanti per l'Italia di Mr B del rispetto delle libertà fondamentali del popolo libico. Fortuna che mica tutti la pensano così: il 20 gennaio il Parlamento europeo s'era rifiutato di firmare un assegno in bianco al Colonnello e aveva posto due condizioni precise per il via libera a un futuro eventuale accordo di cooperazione dell'Ue con Tripoli: protezione dei migranti e riconoscimento dello statuto di rifugiati.
Ora, nessuno chiede a Frattini di pronunciarsi su una situazione incerta e di difficile lettura come quella libica, dove le notizie non solo sono contraddittorie, ma spesso pure improbabili. Però, l'Italia potrebbe forse assumere una linea meno incondizionatamente "gheddafiana". Persone capaci d'analisi nella diplomazia italiana non mancano. L'ambasciatore, Claudio Pacifico, dal Cairo, dove rappresenta l'Italia, dopo averlo pure fatto a Tripoli, dice a Radio Vaticana: "In Libia si corre ancora di più il rischio che le proteste, invece di avere un loro obiettivo di crescita democratica, possano essere ostaggio di altri movimenti che con la democrazia non hanno nulla a che vedere". Pacifico riceve una bacchettata sulle dita dalla Farnesina: le sue valutazioni sono a titolo personale e "non riflettono le posizioni del ministero degli Esteri e del Governo italiani". Il che, in termini non diplomatici, significa "stai zitto".
Persino l'impalpabile lady Ashton, responsabile della diplomazia europea, è più loquace sulla Libia del ministro italiano: fa un appello a Tripoli perché tenga nella giusta considerazione "le legittime aspirazioni del popolo", ricordando la necessità imprescindibile del rispetto dei diritti umani. A scuotere Frattini dal suo torpore libico, ci prova il senatore Stefano Pedica, capogruppo di Italia dei Valori in Commissione Esteri: per lui l'Italia non può fare affari con un governo che reprime manifestazioni pacifiche. E chiede la sospensione dell'erogazione di aiuti in cambio dei respingimenti.
© 2011 Il Fatto Quotidiano. Tutti i diritti riservati
SEGUICI
SU
FACEBOOK
SU