Tra i due litiganti il terzo gode

Dalla Rassegna stampa

Preceduta da una nuova visita ad Arcore (la seconda in tre giorni) di Bossi a Berlusconi, la soluzione, si fa per dire, della lite in famiglia tra il premier e Tremonti ha svelato il vero ruolo del leader leghista nel centrodestra. Più che mediatore tra le due personalità più forti del Pdl, Bossi infatti è apparso nei panni dell’incantatore. Azionando meccanicamente, e alternativamente, uno verso l'altro, il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia, il Senatur è riuscito a ottenere quel che voleva e ad evitare ciò che non voleva, mentre i due, dopo lo scontro, hanno dovuto rinunciare a gran parte delle loro reciproche pretese.
Berlusconi puntava al taglio dell’Irap, la tassa più invisa agli imprenditori, ma ha dovuto rassegnarsi a rinviarlo. Quanto a Tremonti, che mirava alla promozione a vicepresidente del Consiglio e alla competenza esclusiva sulla politica economica del governo, ha finito con l’accontentarsi di un incarico di partito. In un partito, per di più, in cui l’unico ruolo che conta veramente è quello del Cavaliere. Bossi invece ha centrato in pieno gli obiettivi che si era assegnato in questa partita. Ha portato a casa la candidatura leghista per il futuro governatore del Veneto, e un’analoga promessa per il Piemonte.
Ora, che Berlusconi e Tremonti non si rendano conto di essere stati giocati dal loro alleato, non è proprio credibile. Il Senatur è abile, ha sempre la battuta pronta, come quando ha detto di Marrazzo che il suo è «un peccato di pantalone», ma anche il premier e il ministro non sono degli sprovveduti.
È possibile, ad esempio, che Tremonti - sentendosi stretto a causa delle polemiche snocciolate da mezzo governo e mezzo Pdl nei suoi confronti, per la politica di rigore su cui è imperniata la finanziaria, che lo porta a scontentare tutte le richieste di spesa avanzate dai ministri -, si sia messo d’accordo con il suo amico Bossi per mettere in scena il drammone in cui venivano perfino ventilate le sue dimissioni.
Sembra quasi di vederli, i due: andiamo da Berlusconi e gli diciamo che questa storia dei soldi al Sud deve finire una volta e per tutte, altrimenti mi dimetto! No, diciamogli che deve nominarti vicepresidente con la delega per l’economia, così nessun ministro si potrà più permettere di insolentirti. E se Berlusconi non ci sta? Se non ci sta, vediamo dove possiamo arrivare.
Magari è fantapolitica, magari no. Se davvero fosse andata così, si sarebbe trattato di una tattica furba per tirar fuori dall’angolo in cui si trovava il ministro dell’Economia. Ma mentre è sicuro, tra le pieghe della trattativa, che Bossi sia riuscito a mettersi in tasca quel che gli serviva, resta da capire cosa ci avrebbe guadagnato Tremonti. Che tra l’altro, da domani o al massimo da dopodomani, tornerà nel mirino dei suoi avversari interni al centrodestra.
E se invece fossero stati Berlusconi e Bossi ad accordarsi sottobanco, per riportare all’ordine il ministro dell’Economia che faceva le bizze? Anche questa non è da escludere, si può perfino immaginare come sia andata. Pare proprio di sentirli: Umberto, spiegalo tu a Giulio che non può comportarsi come se a comandare fosse lui. Io ho bisogno del taglio dell’Irap perché ho preso un impegno con gli elettori. Silvio, cercherò di parlargli, ma se i soldi non ci sono non c’è niente da fare. E poi lo sai che da tempo Tremonti si aspetta una promozione. Non se ne parla proprio, ci mancherebbe! E va bene, Silvio, proverò a convincere Giulio ad aspettare ancora. Ma sul resto, promettimi, devi venirgli incontro.
Se davvero fosse andata così, si sarebbe trattato di un escamotage per riaprire il dialogo ormai chiuso tra il premier e il suo ministro più importante. E tuttavia anche in questo caso, mentre è chiara la convenienza di Bossi, non si vede quale sarebbe stato il vantaggio di Berlusconi a firmare una tregua abborracciata, che lo costringe all’immobilismo.
Così alla fine la cosa più probabile è che entrambi, Berlusconi e Tremonti, si siano accordati con Bossi. O abbiano tentato di farlo, credendo di esserci riusciti. Senza accorgersi, anche stavolta, di essersi fatti incantare dall’incantatore.

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