Tra Bersani e Di Pietro la posta in gioco è già molto alta

La data del 5 dicembre si avvicina e l'operazione in corso è evidente a tutti. Di Pietro ha cominciato il lavorìo ai fianchi del neosegretario del Pd, Bersani. Niente di nuovo sotto il sole. È la stessa tecnica che l'ex magistrato mise in atto ai danni di Veltroni subito dopo aver siglato quel patto elettorale che rimane probabilmente il maggior errore commesso dall'allora leader del centrosinistra. Ora è la volta di Bersani. Di nuovo una manifestazione di piazza anti-Berlusconi, il "no-B day". Di nuovo l'alternativa avvelenata: "o siete con noi in strada o siete con Berlusconi". E si ripete la storia di un Partito democratico in imbarazzo, diviso tra un vertice che non vuol nemmeno sentir parlare di allineare le sue bandiere dietro quelle di Di Pietro e una parte dei militanti che invece avverte il richiamo emotivo della piazza e condivide l'intransigenza dell'Italia dei Valori.
La verità è che il più scomodo degli alleati che il Pd poteva trovarsi sta saggiando il terreno. Vuol capire fino a che punto può sfidare Bersani, fino a che punto il vertice del partito può reggere una forte pressione. Senza dubbio Di Pietro ha capito che il neosegretario segue una politica di alleanze in cui si privilegia il centro moderato accanto a forze laiche "garantiste" come i radicali. L'Italia dei Valori è considerata piuttosto un concorrente da cui farsi restituire presto o tardi i voti sottratti in nome dell'anti-berlusconismo più combattivo. Di Pietro a sua volta vuol verificare se il nuovo Pd è una realtà di cui è bene preoccuparsi o solo un'architettura un po' retro, di fatto inoffensiva, alla quale soffiare un'altra quota di voti e di simpatie nella base.
In altri tempi il problema non si sarebbe nemmeno posto. Oggi invece costituisce una grana di non poco conto per il segretario appena eletto. Lo slogan a cui si aggrappa Bersani è efficace ("il vero anti-berlusconiano sarà quello che manderà a casa il premier"). Dice tutto e delinea un programma politico. Meno toni gladiatori nelle strade e più opposizione razionale in Parlamento. Il problema è che Di Pietro sta andando a vedere le carte nelle mani del segretario. E ci vuol poco a capire che l'offensiva è partita proprio adesso perché serve anche a condizionare il vertice dei democratici in vista delle trattative per le regionali.
Ora è chiaro che il 5 dicembre può segnare un punto di svolta nei rapporti tra il Partito democratico e l'Italia dei Valori. Ma può anche non essere così. Dipenderà da Bersani e dalla sua capacità di gestire la sfida dipietresca. Finora il segretario si è mosso con prudenza, consapevole della trappola. Già una volta, come si ricorderà - era il luglio dell'anno scorso - i dipietristi sono andati in strada a Roma contro Berlusconi. Volarono insulti al capo dello Stato, oltre che al premier, e per il centrosinistra fu una vicenda scabrosa, dal momento che suoi esponenti di primo piano erano presenti (e ce ne saranno forse anche stavolta). Veltroni lasciò capire che i rapporti con l'IdV non sarebbero stati più gli stessi. In realtà non cambiò nulla.
Oggi Bersani non può accettare che Di Pietro gli prenda le misure. O che addirittura tenti di stabilire una sorta di egemonia politico-culturale sul Pd. Ma il rischio è proprio quello e il segretario non potrà limitarsi a qualche rimbrotto senza conseguenze. Se la nuova rotta è destinata ad allontanare il Pd da Di Pietro, sarà meglio farlo capire senza ambiguità. A patto di averne la forza.
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