Torniamo arancioni

Oggi la nostra testata torna arancione. Arancione come quando nascemmo, esattamente sette anni fa, con due missioni politiche: impedire che la sinistra italiana finisse sequestrata dal populismo e dalla demagogia, dar vita al partito unico dei riformisti. Entrambe le operazioni, come si sa, riuscirono. Cofferati emigrò a Bologna (ieri è stato battuto nelle primarie per la segreteria regionale ligure), e il Pd vide la luce. Ciò che non è riuscito è il seguito. Indeciso sul da farsi, il neonato partito dei riformisti dimenticò presto la ragione per cui aveva visto la luce, trasformandosi rapidamente in un confuso contenitore di tutti gli antiberlusconismi possibili, senza un’anima, senza una strategia delle alleanze, senza una linea politica.
Il Pd esaurì così rapidamente la sua spinta propulsiva, che pure era tanta; e stava languidamente spegnendosi, tra sconfitte elettorali, dimissioni del leader e incoronazioni di Franceschielli. Invece domenica è successo qualcosa che può far di nuovo sperare gli arancioni. In uno scontro politico vero, anche aspro e cattivo, prima gli iscritti e poi gli elettori del Pd hanno scelto quale linea e quale leader vogliono seguire. Un numero di persone non di molto inferiore a quelle che plebiscitarono Veltroni, hanno partecipato alla battaglia e hanno scelto Bersani. Finalmente a maggioranza semplice, non bulgara. Con Bersani, hanno anche chiaramente indicato una linea: vogliono un partito che non affidi il suo futuro a ogni "questione morale" che si raccatti in giro, grande o piccola che sia, corruzione di giudici o frequentazione di escort che sia. Vogliono un partito che torni a far politica, nel senso di occuparsi dei problemi del paese, di dimostrarsi - se ne è capace, perché non è facile - migliore dell`avversario per le sue idee e le sue proposte; soprattutto capace di influire, di contare, in parlamento e fuori, strappando risultati. Un partito che torni alla "questione sociale". Per noi questa non è una novità. Lo sanno anche i bambini che le elezioni si vincono solo così, studiando e sudando sette camicie e lavorando tra la gente, usando il Parlamento per fare battaglie e non come megafono per fare propaganda. Come ha detto l`altra sera Bersani, «costruendo un`alternativa, e non solo facendo opposizione», fosse pure l`opposizione con la maiuscola che piace a Scalfari. Ma tutto ciò è una novità per il Pd. E rilevante. Una novità che può anche cambiare, un po` alla volta, i termini della partita politica in Italia. Per questo oggi torniamo arancioni. Il riformismo italiano, da sempre in cerca di un partito, potrebbe perfino trovarlo in questo sfortunato Pd. E una speranza audace, ce ne rendiamo conto: troppe disillusioni, troppi tradimenti, troppi annegamenti in un bicchier d`acqua abbiamo visto in questi anni per scommettere a occhi chiusi su un nuovo leader, fosse pure una persona intelligente e tosta come Pierluigi Bersani. Troppe trappole sono disseminate sui suo cammino. La prima trappola è il richiamo della foresta che dice «facciamo finta che non sia successo niente», che vorrebbe trasformare una vera lotta politica in un beauty contest, in cui Bersani avrebbe vinto solo perché simpatico e con la parlata padana, e dunque «hanno vinto tutti», «amici come prima», «gestione unitaria» e annacquamento delle differenze di linea politica in nome della mitica unità del partito leninista. Se così fosse, si sarebbe perso tempo. E l`ora delle scelte, delle decisioni, e della compattezza del gruppo dirigente. Chi rema contro, se ne stia a casa. La seconda trappola sono le sirene dei professionisti dell`antiberlusconismo che continueranno a cantare dalle colonne dei giornali e dagli schermi della Rai. Bersani sarà scrutinato a ogni passo. Se dirà che l`Italia ha bisogno di riforme istituzionali - come dice Napolitano e come effettivamente è - subito gli urleranno che fa inciuci, che si è venduto a Berlusconi. L`obiettivo è impedire al maggior partito di opposizione di far politica, e di dire ciò che a suo parere serve al paese solo per il sospetto che serva anche a Berlusconi. Le primarie di domenica almeno questo dovrebbero averlo insegnato al Pd: a non aver paura di tutta quella gente. Nell`elettorato democratico (vero, Nanni Moretti?) contano meno di quanto sembri, e il partito di Bersani dovrebbe cogliere al volo l`occasione per sentirsi finalmente libero da ogni condizionamento: «senza padroni». La terza trappola è il rischio di montarsi la testa. Il Pd non ha ancora vinto niente. Si è solo dato una sistemata. Ha confermato a se stesso e al mondo che esiste e che è forse il più forte partito progressista d`Europa. Ma, con ogni probabilità, e qui ci tocca essere chiari, non sarà il Pd ad esprimere il candidato premier che alle prossime elezioni potrà battere Berlusconi. Il Pd ha il compito - oseremmo dire il dovere - di portare tutte le sue forze all`incontro con altri partiti e altre personalità, perché da solo non ce l`ha fatta e non ce la farà mai. Il tempo dirà chi e quanti alleati. Ma senza alleati non c`è storia. Sapranno i nostri nuovi eroi cavarsela? Sapranno produrre politica, come non fanno da tempo? Chi lo sa. L`unica cosa certa è che fino a sabato il compito era impossibile, ora è tornato ad essere possibile. Auguri arancioni. Post Scriptum. Quando a luglio il "Riformista "pubblicò i risultati di un sondaggio che dava Pierluigi Bersani in testa di venti punti su Dario Franceschini, due dirigenti del Partito democratico, Piero Fassino e Mario Adinolfi, ci presero in giro. Disinformazione, dissero, e di parte: le cose andranno in modo molto diverso. Ieri non l`hanno ripetuto perché gli elettori hanno confermato al millimetro il distacco tra i due candidati e il sondaggio da noi pubblicato. Giusto per ricordare chi raccontava balle.
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