Il tormento della Moroni: non voto, andrò con Fini

Non alza gli occhi dai fogli, Chiara. Chissà quanto le sono costate quelle parole che ci ha vergato sopra. Scrivere un'emozione vuol dire raddoppiarne l'intensità. Leggerla poi nell'aula di Montecitorio, forse, equivale a triplicarla: «... il sottosegretario Caliendo è pienamente tutelato dalle garanzie democratiche che non ebbe mio padre nel 1992. Per questo non parteciperò al voto». La voce inciampa nelle lacrime raccolte in gola. La deputata del Pdl Chiara Moroni ieri pomeriggio è passata così nel neonato gruppo di Gianfranco Fini, Futuro e libertà. In memoria di suo padre Sergio. In nome di un garantismo sbandierato insieme ai suoi foglietti di appunti. Era tutto pronto per il voto alla mozione di sfiducia al sottosegretario Giacomo Caliendo, ieri a Montecitorio. Aveva parlato il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto e l'intervento della radicale Rita Bernardini sembrava aver chiuso il giro degli interventi. Chiara Moroni ha chiesto la parola per ultima, a titolo personale. Le telecamere d'Aula hanno stretto le riprese sopra le sue lentiggini. «Non posso tollerare che la battaglia garantista venga confusa con la giustificazione. Non posso tollerare, altrettanto, alcun giustizialismo». Accanto a lei lo sguardo di Italo Bocchino cerchiato dagli occhialetti leggeri non lascia trapelare alcun turbamento. Ci pensa la giovane Chiara, in compenso. «La mia è una storia profondamente garantista. Negli anni di Tangentopoli mio padre ritenne di doversi togliere la vita..». Non aveva compiuto nemmeno diciotto anni, quel giorno Chiara. Era il 2 settembre 1992. Suo padre Sergio, deputato socialista, aveva appena ricevuto il secondo avviso di garanzia per tangenti, una storia legata ai lavori dell'ospedale di Lecco. Era appena tornato da lunghe ed inutili vacanze in Sardegna. Non ha detto nulla Sergio Moroni, quel primo mercoledì pomeriggio di settembre. È sceso nella cantina del suo condominio nel centro di Brescia: il fucile era già lì dentro. Un colpo in bocca. Lo avrebbe trovato alle otto di sera la signora delle pulizie. «...In quegli anni di Tangentopoli si era creato un clima da progrom..», un altro inciampo della voce tra grumi di lacrime e di ricordi. Ma Chiara non si ferma, gli occhi sempre fissi sulla carta dei suoi appunti. Chissà se la paura è di alzare lo sguardo in un'Aula dove siede anche Antonio Di Pietro, il magistrato leader di Tangentopoli. Le telecamere d'Aula rimangono fisse su di lei. Il primo foglio passa sotto al secondo. Chiara Moroni prende fiato e coraggio: «La mia storia coincide con una battaglia garantista. Per questo non parteciperò al voto: quello del sottosegretario Caliendo è un problema di opportunità politica, di compatibilità tra il suo incarico personale e i suoi comportamenti. Non ha niente a che vedere con il garantismo». Quando abbandona il microfono, la sensazione è che stia per scoppiare in un pianto dirotto. Le telecamere l'hanno lasciata in pace, fortunatamente. Italo Bocchino le stringe un braccio. Chiara Moroni è la trentaquattresima deputata del neonato gruppo di Gianfranco Fini, Futuro e libertà. Lo comunicherà proprio lei al presidente della Camera al termine dell'ultima seduta di Montecitorio prima della pausa estiva. È una corsa nascosta quella che fa Chiara dall'Aula alla stanza del presidente, dribblando reporter e cronisti. Suo padre Sergio avrebbe avuto sessantatré anni, oggi. Ne aveva quarantacinque quando quel mercoledì 2 settembre 1992 Si è tolto la vita con un fucile da caccia. Adesso Chiara ha un'altra data da segnare nell'agenda della vita di suo padre: il 4 agosto 2010. Un altro mercoledì.
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