Toni bassi? Per ora Berlusconi parla al popolo, non al palazzo

Dalla Rassegna stampa

Forse era troppo pretendere che fossero subito accolti i saggi inviti alla calma per cui si è speso il presidente della Repubblica. Bisogna avere la pazienza di aspettare qualche settimana, almeno fino al ritorno sulla scena di Berlusconi, per capire se la nevrosi del sistema è curabile. Certo, se dobbiamo stare a quello che si è visto ieri, non c’è da illudersi.

La Camera è stata la palestra per uno scambio aspro di accuse e recriminazioni, da Di Pietro a Cicchitto ad altri. Ed era pressoché inevitabile, perché l’ondata emotiva suscitata dall’aggressione di Milano è lungi dall’essersi esaurita. I nervi sono a fior di pelle e in fondo è meglio che certi scontri al limite dell’insulto avvengano nell’aula del Parlamento piuttosto che in piazza.

Il problema è che tutto si mescola in forme improprie. Ieri, ad esempio, le accuse reciproche riguardavano, è ovvio, il ferimento del premier. Ma subito si sono intrecciate con una questione del tutto diversa: il voto di fiducia chiesto dal governo sulla legge finanziaria. Voto che il presidente della Camera ha giudicato «legittimo ma deprecabile», in quanto giustificato solo da ragioni politiche legate al rapporto «tra il governo e la sua maggioranza». In altre parole, Fini ha difeso il punto di vista dell’opposizione – che sulla finanziaria non ha fatto ostruzionismo – e ha mostrato fastidio per una decisione che copre, a suo avviso, i problemi interni alla coalizione.
Si deve ammettere che Fini ha usato un termine («deprecabile») abbastanza forte, chiaro indizio della sua irritazione verso il governo, o meglio verso il ministro Tremonti. Tuttavia non è una polemica nuova. L’esecutivo abbonda nei voti di fiducia e il presidente della Camera più volte ha difeso le prerogative dei deputati. Anche stavolta la messa a punto era inevitabile. Magari Fini ha caricato un po’ i toni per dimostrare che il ferimento di Berlusconi suscita, sì, piena solidarietà verso la persona, ma non interrompe la normale dialettica tra governo e Parlamento.

Se è così, se ne poteva prendere atto e passare oltre. Invece, altre polemiche. Toni esacerbati verso la presidenza da parte soprattutto di Cicchitto, ma anche di Calderoli. E il messaggio che arriva agli italiani è fuorviante: sembra che il conflitto riguardi in egual misura la legge finanziaria e le responsabilità remote dei fatti di Milano, in un singolare miscuglio.

Non è così, evidentemente. Gli appelli di Napolitano non riguardano certo la vita parlamentare e le sue procedure. Si riferiscono alla scadente qualità del confronto civile nel paese. E qui la radicalizzazione è ancora in atto, nonostante gli sforzi di Bersani. È possibile che Berlusconi, da cui dipende tutto, non abbia ancora deciso quale linea assumere. La durezza di Cicchitto fa pensare che per ora il centro-destra voglia tenere alta la guardia, senza aprire alcun credito all’opposizione.

Del resto, il presidente del Consiglio sembra volersi riconciliare con il popolo più che con il palazzo, cioè con l’"establishment". Quella frase un po’ zuccherosa diffusa dall’ospedale («l’amore vince sull’invidia e sull’odio») è generica, ma è rivolta alla gente, all’elettorato. Non agli avversari politici. Berlusconi sa di essere saldo nell’opinione pubblica e non vuole perdere il vantaggio emotivo appena conquistato. Ci sarà tempo, nella sua logica, per «abbassare i toni» del confronto politico. Il premier non ha fretta.

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