Tiro al Cavaliere

La fine, o quasi, della difficile trattativa targata Umberto Bossi per salvare la legislatura, attraverso l’operazione «Berlusconi bis» si materializza sul tabellone della Camera sul far della sera. Quando viene messo ai voti un emendamento del radicale Matteo Mecacci alla mozione sul trattato di Amicizia Italia-Libia. Che impegna il governo a «rivedere il trattato» e ad «attuare i respingimenti in base agli accordi internazionali e ai principi umanitari». L’esecutivo aveva dato parere contrario all’emendamento. Ma finisce sotto. Risultato: 274 a 261. L’altra maggioranza è formata da Futuro e Libertà, Pd, Udc e ldv. E solo il primo, di una serie di colpi a ripetizione. Il copione si ripete su una mozione analoga presentata dall’Udc (281 a 269). Poi, per la terza volta, su quella di Futuro e Libertà: governo sempre sotto, e altra maggioranza alla Camera formata da Fli, Udc, Pd e Idv. E solo per ragioni di tempo si è interrotto lo stillicidio. È infatti slittato alla prossima settimana il voto (segreto) sulle dimissioni del parlamentare siciliano di Noi Sud Giuseppe Drago, presentate per "anticipare" il pronunciamento dell’Aula sulla decadenza del suo mandato, visto che Drago è stato condannato e interdetto dai pubblici uffici. L’esito è tutt’altro che scontato. E più di un segnale di logoramento, il triplice assalto sul trattato di Amicizia. E non solo perché il colpo è diretto a uno degli assi principali della politica estera del Cavaliere. C’è assai di più. Il voto arriva proprio alla vigilia dell’incontro tra l’esploratore Umberto Bossi e Gianfranco Fini, previsto per oggi. Ultimo tentativo per evitare una crisi al buio, imprevedibile negli esiti. Difficile, quasi impossibile un accordo che porti a un Berlusconi bis. Pare ormai non crederci più nessuno. E non è escluso che il faccia a faccia possa saltare. Il Cavaliere, informato telefonicamente mentre era all’Aquila su ciò che accadeva in Aula è sbottato: «È chiaro che questi vogliono la mia testa. Cosa dovrei trattare, la mia decapitazione? Io non ho dato nessun mandato esplorativo a nessuno. Per quel che mi riguarda vado avanti. E non mi dimetto. Mi votino contro in Aula e se ne assumano la responsabilità di fronte al paese». Ma anche il presidente della Camera considera strettissimo lo «spiraglietto» (copyright di Umberto Bossi) dell’accordo. Chi ha parlato con lui spiega che «o accettano tutte le nostre condizioni o ormai un accordo non conviene». E non a caso il leader di Futuro e Libertà ha intenzione di intavolare la discussione con Bossi partendo proprio dal tema più ostico, la legge elettorale: è un punto irrinunciabile, il primo punto. E non è un caso neppure che Pier Ferdinando Casini alza, giorno dopo giorno, l’asticella delle condizioni. Ieri parlando all’ufficio politico del suo partito ha affermato: «Berlusconi si deve dimettere e deve aprire la crisi. Un govenicchio non serve a nessuno. Serve un governo che accolga le forze migliori del paese, che faccia un appello al Pd in nome dell’emergenza». Fini e Casini, Casini e Fini. Legge elettorale e appello al Pd. Punti irricevibili per il premier. Tali da alimentare il sospetto che la manovra consista proprio nel tracciare un perimetro per un altro governo, non per un Berlusconi bis. Sono giorni che i due concordano ogni mossa in vista di una crisi che considerano inevitabile. Così inevitabile che hanno fissato pure lo scenario di emergenza che prevede un cartello terzopolista con Api e Mpa nel caso di elezioni anticipate. Nome possibile: «Patto per la nazione». Epperò prima va tentata la carta di un governo tecnico. Che passa per il logoramento dell’attuale assetto. Il prossimo colpo è la mozione di sfiducia al ministro della Cultura Sandro Bondi. Non è stata ancora calendarizzata ma, quando ci sarà, il voto favorevole di Fli e Udc è scontato: «È indifendibile come ministro di fronte all’opinione pubblica - dicono nell’inner circle del presidente della Camera - e pesa anche il suo ruolo verso di noi nei panni di coordinatore del Pdl». Ecco la strategia fnian-casiniana. Indebolire e prendere tempo, finché non si presentano le condizioni della grande manovra. Finché cioè il premier non si presenta dimissionario al Quirinale, colpo dopo colpo. E il presidente della Camera sta solo aspettando di adempiere, se ci sarà, al rituale del colloquio con Bossi per dettare i tempi del ritiro della delegazione del governo. Possibile già alla fine di questa settimana. Al massimo dopo il voto di lunedì in commissione bilancio sulla legge di stabilità, unico voto non in discussione in questo convulso passaggio di legislatura. E che i margini per una trattativa siano assai stretti lo dimostra anche lo scarso lavorio diplomatico attorno all’ipotesi di un Berlusconi bis. Pure sul fronte dei pontieri, se Roberto Maroni parlando con Gianni Letta si è detto convinto che il tentativo «va fatto» ma al tempo stesso ha già fissato sul calendario la data di un possibile election day, accorpando politiche e amministrative: il 27 marzo, anniversario della vittoria del ‘94, e anche della nascita del Pdl. Una data utile, insomma, per urlare contro «i traditori». Urne o governo tecnico. Ecco il punto. Soprattutto dopo il voto di ieri sul trattato, che mostra sulla carta come una maggioranza alternativa alla Camera c’è. E i timori della Lega e del premier riguardano proprio il manovrone. Parlamentare e non. Fini nel discorso di Perugia ha fatto capire che non ci sono solo forze politiche pronte al governo tecnico ma ha fatto riferimento anche a Confindustria e sindacati, e al loro impegno per nuovo patto sociale. Parole non dissimili da quelle usate ieri dal leader degli industriali Emma Marcegaglia sull’«incertezza che paralizza il paese». Coincidenze. Chissà. In attesa del pronunciamento della Consulta sul legittimo impedimento, altro tassello: «Che succede - si chiedono i futuristi - se un premier in attesa di condanna chiede le elezioni in uno scenario di crisi? Già ora in molti invocano una soluzione di emergenza di fronte alla crisi. Napolitano avrebbe un argomento in più per un ragionamento istituzionale. L’emergenza si alimenta di emergenza».
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