Il tiro al bersaglio contro il Quirinale è cominciato 20 anni fa

Dalla Rassegna stampa

Forse bisognerebbe per una volta uscire dalle polemiche di tutti i giorni e provare a ricordare un po' di storia, anche recente, in un Paese dove la memoria viene azzerata ogni settimana. Il tiro al bersaglio sul Quirinale, per esempio, non è uno sport recente.

Sono esattamente vent'anni che assistiamo a tentativi sistematici, perlopiù da parte del berlusconismo, ma ora non soltanto, di deligittimare la prima carica dello Stato. Chiunque fosse l'inquilino del Colle, da qualunque parte venisse.

Si è cercato con tutti i mezzi, leciti e non, prima di distruggere la figura del democristiano Oscar Luigi Scalfaro, poi dell'azionista Carlo Azeglio Ciampi, ora dell'ex comunista Giorgio Napolitano.

Con argomenti ogni volta diversi, fatti e illazioni, scandali in genere inventati, tecniche differenti e anche differenti protagonisti. Ma con uno scopo nella sostanza sempre uguale.

Abbattere uno dei pochi poteri in grado di arginare la deriva del Paese, di difendere le regole democratiche dai continui assalti del populismo di destra, sia pure mascherato in varie forme e sempre all'ombra della bandiera di una presunta "democrazia diretta" o "moderna", insofferente ai vincoli della "vecchia" Costituzione.

Gli assalti al Quirinale sono per fortuna sempre falliti. Questo e poco altro hanno impedito all'Italia berlusconiana di diventare un regime, una specie di Russia di Putin dell'Occidente.

Un caso felice ha consentito di avere tre presidenti piuttosto anomali rispetto
al ceto politico che li ha eletti, sempre in buona parte obtorto collo.

Scalfaro presidente, com'è noto, era soltanto un'idea di Marco Pannella, prima che il ciclone di Mani Pulite costringesse i partiti della Prima Repubblica a cancellare dalla lista dei papabili i pezzi da novanta del pentapartito, a cominciare da Arnaldo Forlani.

Il successore di Scalfaro, che era divenuto per il berlusconismo il nemico pubblico numero uno, avrebbe dovuto essere nientemeno che Nicola Mancino.

Proprio colui che, indagato dai magistrati siciliani per la trattativa fra Stato e mafia, si era rivolto ai consiglieri di Napolitano in cerca di protezione. Ma l'accordo fra Berlusconi e D'Alema, strascico dell'intesa in Bicamerale, saltò all'ultimo momento, grazie al cielo.

Lo stesso Napolitano è stato il compromesso finale, proposto non dalla sinistra ma da Casini, dopo una serie di tentativi falliti d'imporre scelte più rassicuranti per il sistema dei partiti, compresa quella di D'Alema stesso. Ci è andata bene. Intendo a noi cittadini.

Ma al prossimo giro i vecchi e i nuovi demagoghi vogliono garantirsi un Quirinale con poteri di controllo deboli, meglio se inesistenti. Demolire l'ultima istituzione popolare nel Paese è l'ultimo passo verso la prossima repubblica delle banane.

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