Tibet, dissenso, fede la realpolitik oscura tutte le cause nobili

La differenza nel concetto di libertà tra Stati Uniti e Cina? È che vengono da tradizioni diverse. Gli Usa imporranno mai i loro valori alla Cina? Abbiamo delle differenze ma ci sono comunque valori universali, come la parità tra uomini e donne e i diritti dei bambini. Il problema dei diritti umani, la difesa di Taiwan, la stessa spinosa questione del Tibet, dopo decenni di convivenza difficoltosa con il realismo politico, sono tutte state nascoste sotto il tappeto nella prima visita in Cina di Barack Obama.
I giornalisti statunitensi fingono di scandalizzarsi, quelli cinesi sono compiaciuti. In realtà è tutto un teatrino. L’accordo tra le parti c’era da tempo, ed era che le questioni dei diritti, che hanno rallentato e reso difficile per anni il rapporto tra Usa e Cina, sarebbero state messe in disparte, o meglio non avrebbero dovuto «prevalere» sulle questioni politiche e strategiche.
Per certi versi è un ritorno al passato, a prima dei fatti di Tienanmen nel 1989. Fino ad allora, a cominciare dagli Anni 70, dalla lenta ripresa dei rapporti bilaterali, l’America aveva ignorato la questione dei diritti umani in Cina, tanto quanto l’aveva sottolineata con toni alti con l’Urss. Anche se sembra che il presidente Carter, alla fine degli Anni 70, avesse sollevato con Deng Xiaoping il problema della mancanza di libertà di movimento dei cinesi. Al che Deng rispose: non c’è problema, se volete vi mandiamo cento o duecento milioni di cinesi.
Al di là delle leggende, la questione dei diritti esplose dopo la repressione del movimento di Tienanmen nel 1989. Fu lo choc di vedere quell’orrore in diretta televisiva, fu il fatto che di lì a poco l’impero sovietico sarebbe crollato e con esso la cortina di ferro e delle sue nequizie. Restava però la cortina di bambù difesa dai carri armati in piazza. Dopo Tienanmen cominciò un momento difficile per la Cina. Pechino divenne il bersaglio ideale di tutte le accuse di abusi contro la libertà di espressione politica o religiosa. Gli intellettuali del partito facevano notare al pubblico cinese che dagli Anni 90 in poi il livello di libertà era cresciuto. Mentre gli americani erano stati zitti negli Anni 80 e 70, quando i diritti venivano davvero messi sotto i piedi.
Allora, come oggi, erano la politica e l’economia a dettare l’agenda nei rapporti tra le due superpotenze. L’America ha bisogno del credito cinese per sostenere i suoi debiti e le sue politiche ambientali; ha bisogno dell’aiuto di Pechino su un vasto fronte di questioni geopolitiche, dalla Corea del Nord all’Afghanistan, all’Iran; non può permettersi che tutto scivoli su posizioni di principio che poi si fanno via via sempre più sfumate. È un pragmatismo che riguarda anche l’isola di Taiwan - di fatto indipendente, di nome parte di un’unica Cina - Obama ignora la questione della vendita di armi da parte degli Usa e auspica migliori relazioni fra le parti.
È nato un nuovo rapporto, che di sicuro non scivolerà sui diritti umani. Certo nessuno si dimenticherà dei problemi della libertà di religione, o di espressione civile, ma sempre più diventeranno echi lontani. Per cambiare questo nuovo approccio sui diritti ci vorranno anni, oppure eventi drammatici, come un’altra Tienanmen, il che pare altamente improbabile.
Ma in questi ultimi anni le questioni dei diritti umani in Cina, o quella del Tibet, erano diventati argomenti caldi tra i Paesi europei, anche in Italia, dove peraltro invece realismo, cinismo e scetticismo avevano spesso dominato la visione politica. E senza la sponda americana la richiesta europea di diritti ai cinesi sembra quasi una finzione. L’apertura di Obama alla Cina lascia gli apostoli nostrani dei diritti umani con il cerino in mano, isolati, mentre il G2 America-Cina, o comunque lo si voglia chiamare, comincia a veleggiare.
L’ultima ironia è che questa inversione a U sui diritti umani è stata condotta dal presidente più liberal della storia degli Usa. Ma ciò, direbbero i realisti politici, prova solo che lui se lo può permettere senza attirarsi critiche interne.
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