Il Terzo Polo firma la sfiducia Fini: ora è crisi

Dalla Rassegna stampa

 Il Terzo Polo rompe gli indugi e posa una pistola sul tavolo della crisi dopo averla caricata a dovere: Fini, Casini, Rutelli, Lombardo e i LibDem di Tanoni, dopo un vertice di due ore, decidono di presentare una mozione di sfiducia comune che porterà le firme di 85 deputati, contando anche quelle di La Malfa e Paolo Guzzanti. È il segnale che «da oggi Berlusconi non ha più la maggioranza e quindi dovrebbe salire al Colle e dimettersi per aprire una nuova fase», sostengono all’unisono i tre leader. «Finalmente la crisi è evidente, è ora di uscire dalla paralisi con un nuovo governo», commenta Bersani, che mette però le mani avanti, perché «davvero a questo punto non si capirebbero più tatticismi, titubanze e diplomazie».
 
 Il Cavaliere non sembra avere alcuna intenzione di togliere le castagne dal fuoco a Fini: come dice Alfano, «è il leader votato dagli italiani e non si dimette». Tanto più che la Lega ancora lo sostiene, gettando la croce addosso al leader di Fli che «fa un grave errore politico: il 14 ognuno si assumerà le sue responsabilità e finiranno giochi e congiure di Palazzo».
 
 Due gravidanze nella conta
Come nelle grandi occasioni, tutti impugnano il pallottoliere: conti alla mano, assicura Bocchino, ci sono 317 voti su 630 per disarcionare Berlusconi. Un numero buttato lì non a caso, come si scopre facendo la spunta dei nomi, da cui emerge un doppio caso in «rosa», quello di due deputate del Pd e del Fli, probabili assenti ben giustificate: Federica Mogherini del Pd, con un parto programmato proprio il 14 mattina, che si sta cercando di spostare al pomeriggio per farla arrivare col pancione in aula. Giulia Cosenza del Fli, costretta a letto da una gravidanza problematica. Per il resto, i conti sono così ripartiti: escludendo il voto di Fini e del dissidente di Fli Catone, il Terzo Polo sulla carta somma 85 voti; a questi si aggiungono le 224 firme in calce alla mozione Pd-Idv. Caso a parte quello dei Radicali, che dopo l’apertura al dialogo di Pannella, raccolta dal Pdl con La Russa che lo ha incontrato ieri, e una richiesta di chiarimento politico al Pd non ancora esaudita da Bersani, hanno comunque fatto sapere che voteranno la sfiducia. Dunque altri sei voti, a cui sommare quelli di Giulietti e del valdostano Nicco, iscritti al Misto. Senza le deputate incinte si arriverebbe a 315, ma altri due esponenti delle minoranze linguistiche, Brugger e Zeller, che la volta scorsa si astennero, stavolta vengono dati per «convinti» e si tornerebbe così a quota 317.
 
 I tormenti del Pd
 All’ora di pranzo, in un Palazzo popolato da 500 onorevoli impegnati a chiudere la pratica del decreto sicurezza prima di sparire fino al 13 dicembre, l’annuncio del Terzo Polo fa di colpo cambiare gli umori. Facce scure dalle parti di Pdl e Lega, capannelli festosi nel Pd, dove si comincia a vedere una luce in fondo al tunnel: la nascita di un governo di qualsiasi tipo, tecnico, istituzionale, o di larghe intese che sia, che eviti il ricorso alle urne e la competition con Vendola. Ma al contempo si affaccia lo spettro di lacerazioni se mai si dovesse decidere il sostegno a un governo di centrodestra non guidato da Berlusconi. «Se va Letta o Tremonti, che facciamo, diamo un appoggio esterno o entriamo?», si domanda Fioroni. «Un governo Draghi o Monti sarebbe perfetto per affrontare la crisi sui mercati», è l’auspicio di Enrico Letta.

© 2010 La Stampa. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK