La "tenaglia" dei leghisti

Sono volati gli stracci nel centro-destra. Fini ha detto chiaro e tondo al Presidente del Consiglio che il modo di gestire il partito e il programma di governo non vanno. Minaccia di fare un gruppo parlamentare autonomo. Non potrebbe essere altrimenti: la “deriva” leghista di Berlusconi, lo lascia completamente scoperto di fronte alle componenti più radicali del centro-destra. Fini non può gloriarsi di vittorie elettorali, né guida più un proprio partito inoltre molti dei suoi ex “colonnelli” sono ormai con Berlusconi. Ha dalla sua solo la carica di Presidente di una Camera che il Cavaliere considera poco meno che inutile e che non perde occasione per denigrare. Fini, dunque, è in minoranza nel modo di intendere il partito, le riforme e le istituzioni. Sino ad oggi tale diversità è stata ricomposta per quieto vivere, nonostante le irritazioni di Berlusconi per quel continuo chiosare del Presidente della Camera, sempre pronto a mettere i puntini sulle “i” senza però mai avere il coraggio di affrontare a viso aperto il “capo”.
Oggi Fini ha deciso di dare un segnale forte. Vuole vedere sino a che punto è ancora una risorsa politica credibile nel suo stesso partito. In molti, a destra, hanno tirato un sospiro di sollievo di fronte al suo ultimatum, pregustando l’uscita di scena di quel personaggio scomodo. Se ne vada pure, hanno detto. Che peso ha, in fondo, l’ex leader di An nella conta dei deputati? Se, come è stato minacciato anche da Schifani, il “tradimento” di Fini condurrà alle elezioni, sembra certo che il Pdl non ne risentirà troppo. Ma in politica spesso lo spostamento di equilibri consolidati è un’incognita e talvolta dalle modificazioni esce malconcio proprio colui che sembrava il più forte. In questo caso, comunque, un altro satellite di centro-destra finirebbe per allontanarsi, nel giro di pochi anni, dall’orbita del pianeta Berlusconi. E non a caso: la ragione della esternazione di Fini va ricercata nella crescente importanza della Lega nel dettare l’agenda politica del Paese, cosa che non può essere gradita alle tradizionali forze moderate.
La maggior parte dei commentatori ha già segnalato che il simbiotico rapporto tra Berlusconi e Bossi di fatto esclude qualunque altro soggetto politico di rilievo, a cominciare dallo stesso co-fondatore del Pdl. Si tratta di una tenaglia che dopo le elezioni amministrative sembra non avere alternative. Bossi e Berlusconi sono vincitori, ma si collocano in due diverse posizioni nella parabola del successo. Il Cavaliere sa che la forza del suo partito è legata alla propria immagine e alla capacità, unica, di galvanizzare l’elettorato di centro-destra. Bossi può invece contare, oltre che sul suo carisma, anche se non soprattutto su una struttura, il partito, che, almeno per un po’, gli sopravviverà garantendo alla Lega una cospicua crescita elettorale. Su queste basi il patto tra i due è inevitabile: per Berlusconi, ancora decisamente superiore al suo alleato, si tratta di blindare un’alleanza prima che si rendano evidenti i già striscianti segnali del declino, mentre a Bossi la special relationship con il Cavaliere gli permette di capitalizzare al massimo i risultati elettorali, buoni per il trend generale e per lo sfondamento in Regioni poco sensibili al fascino della Lega,pur modesti in assoluto (meno di tre milioni di elettori), soprattutto se pensiamo agli enormi risultati (federalismo ed occupazione dei gangli del potere economico al nord) che quei modesti consensi gli potranno garantire. Tale patto è reso più facile dalla parziale separazione di ambiti ed interessi tra le due forze politiche che per il momento possono convivere al potere senza pestarsi troppo i piedi. In questo scenario, sembra non esserci spazio per Fini. Sembra, appunto. In realtà vedremo nelle prossime ore cosa accadrà: Berlusconi sta ridimensionando l’incidente e l’azione del Presidente della Camera è a sua volta influenzata dalla posizione dei propri fedelissimi i quali agiscono da pompieri, anche per timore di rimanere “appiedati” dal possibile ritorno alle urne. Quattordici senatori 'finiani' hanno espresso solidarietà a Fini ricordando che 'l'opinione pubblica si aspetta non una scissione ma una azione più incisiva del nostro governo'. Le questioni poste da Fini - dichiarano, negando che si parli di gruppi autonomi - meritano un approfondimento e una discussione attenta nelle competenti sedi del partito. In politica i grandi ideali e le alte strategie, devono per forza di cose camminare sulle gambe delle ambizioni e dei timori di uomini che, come è naturale, pensano prima se stessi poi alla storia.
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