Il tecnico «duro e puro» che piace all'Europa

Dalla Rassegna stampa

Sessantotto anni, lombardo, per dieci anni commissario europeo, Mario Monti è considerato uno dei più autorevoli economisti italiani. Ma è soprattutto il rigorista e il tecnico «duro e puro» che non guarda in faccia a nessuno quando si tratta di difendere il mercato dalle distorsioni della concorrenza, nemmeno se ha di fronte i maggiori colossi dell'industria.

Nato a Varese il 19 marzo del 1943, Monti si laurea alla Bocconi nel 1965; dopo un periodo passato negli Stati Uniti, dove si specializza a Yale studiando con il futuro premio Nobel James Tobin (quello della Tobin tax sulle transazioni finanziarie), comincia a insegnare all'Università di Torino nel 1970. Quindici anni dopo diventa professore di Economia politica alla Bocconi, dove assume l'incarico di rettore dell'Istituto di Economia Politica.

La sua competenza ne fa un candidato ideale per incarichi tecnico-istituzionali: se ne accorge nel 1994 Silvio Berlusconi, appena insediatosi a palazzo Chigi, che lo indica come commissario europeo. A lui vanno le deleghe per il mercato interno, i servizi finanziari e la fiscalità. Monti mantiene un profilo di assoluta indipendenza, tanto che quando arriva la scadenza, viene riconfermato come commissario europeo dal governo di centrosinistra guidato da Massimo D'Alema («dal dottor Monti mi sento ben rappresentato a Bruxelles» aveva detto pochi mesi prima): questa volta gli viene affidata la delega per la concorrenza. E sotto la sua direzione che la commissione europea avvia un procedimento contro Microsoft sfociato in una multa record di 497 milioni di euro inflitta al colosso di Bill Gates per aver violato le norme antitrust. Altro risultato ottenuto dal paladino della concorrenza, lo stop alla fusione tra General Electric e Honeywell nel 2001.

Nel 2004, Berlusconi , tornato nel frattempo a Palazzo Chigi, decide di non rinnovargli l'incarico, preferendogli Rocco Buttiglione, poi stoppato dal Parlamento europeo per le sue affermazioni anti-gay.

Dalle colonne del Corriere della Sera, Monti, che conserva la carica di presidente della Bocconi, conduce una triplice battaglia per il mercato, le liberalizzazioni e il rigore dei conti pubblici. Sua l'idea, lanciata quando l'emergenza era lontana da venire, di porre un tetto ai rendimenti dei titoli di Stato, per evitare che il debito si autoalimentasse. È suo l'editoriale di qualche giorno fa in cui chiedeva al premier di concentrarsi sul risanamento piuttosto che puntare a «un successo elettorale a tutti i costi per la Sua parte politica, ma in un Paese sempre più populista, distaccato dall'Europa e magari visto come responsabile di un fallimento dell'integrazione europea».

L'Europa lo vede come l'uomo che può tirare l'Italia fuori dal caos perché sa che Monti non concepisce un'Italia fuori dall'Europa. Come dimostra questa citazione riportata da «wikiquote»: «Il giorno dopo la mia nomina Marco Pannella, che peraltro ho in forte simpatia, organizzò una conferenza stampa per sostenere che con Monti avevano vinto i poteri forti. La presi a ridere e quando un giornalista mi chiese un commento dissi che di poteri forti non ne conoscevo. Tranne uno, l'Europa e oggi mi fa piacere aver contribuito a renderlo più forte».

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