A teatro con la mafia

Dalla Rassegna stampa

Chi di Spatuzza ferisce, di Spatuzza perisce? Con la testimonianza dell’ergastolano e spietato killer di Cosa Nostra Gaspare Spatuzza durante il processo di appello contro il senatore Marcello Dell’Utri, già condannato in primo grado per concorso in associazione mafiosa, la giustizia italiana ha innescato e mostrato al mondo la sua “bomba atomica”. Adesso rischia tantissimo, anche il minimo errore e la bomba potrebbe polverizzare la magistratura e l’intero sistema giudiziario della Repubblica.

Dei rischi della “bomba atomica” ne ha anche parlato, apparentemente senza sapere di essere ascoltato, il Presidente della Camera Gianfranco Fini. Mentre nei titoli dei giornali spiccava più la frase sul Berlusconi “monarca assoluto”, la riflessione della terza carica dello Stato più incisiva era la deduzione che con le “rivelazioni” di Spatuzza i magistrati non possono permettersi di commettere il “minimo errore”, altrimenti…

Abbiamo ascoltato in diretta le domande del Procuratore Generale Antonino Gatto al nuovo “super-pentito” grazie al miracoloso servizio radio di www.radicale.it. Li abbiamo ascoltati questi protagonisti con il forte accento palermitano, con quella “R” rafforzata e vocali allargate, che rendono così teatrale questo processo di mafia.

“È come a teatro” ha detto il senatore Dell’Utri, mentre si difendeva davanti ai giornalisti da quelle terribili accuse rivolte anche all’attuale capo del governo Silvio Berlusconi. Già il teatro, anche per il vocabolario italiano la stessa parola mafia nasce centocinquanta anni fa grazie al teatro, come il coltissimo senatore Dell’Utri saprà. Nel 1862, una rappresentazione porta il titolo di “I mafiusi de la Vicaria”, opera che ebbe un discreto successo nell’Italia appena unita da Garibaldi e Cavour. Si svolgeva all’interno di un carcere facendo per la prima volta conoscere al pubblico dell’epoca, linguaggio e modo di agire dei mafiosi prima ancora che si conoscesse la mafia e una parola per chiamarla.

La storia d’Italia diventa essenziale anche in una corte di giustizia dove si mischia la mafia con le istituzioni. Le prove necessarie alle condanne non potranno arrivare certamente dalla conoscenza di un passato lontano, ma la comprensione del fenomeno mafia e dei suoi rapporti con il Regno d’Italia fino alla Repubblica, possono aiutare tutti, magistrati, avvocati, imputati, giornalisti e pubblico, a non abboccare alla tentazione di far apparire il tutto come “assurdità” o “fantasie”. Se il teatro è la vita, come Pirandello insegna, cosa ci può essere di più teatrale della mafia?

Chi non disconosce la storia d’Italia, non può sorprendersi o meravigliarsi di questa “bomba atomica”, come se le convergenze degli interessi tra certi istituzioni e la mafia siano solo oggi novità assoluta. La mafia si chiama mafia per questi suoi particolari legami di “scambi-favori” con la politica. Altrimenti sarebbe solo semplice criminalità organizzata, non certo mafia. La possibilità che la mafia abbia rapporti stretti con la politica già o prossima al potere, non è l’eccezione ma la regola degli ultimi centocinquanta anni di storia d’Italia. Spetta alla magistratura in questo caso dimostrare se per quanto riguarda Dell’Utri e quindi Berlusconi ci sono i fatti e non le semplici “deduzioni mentali”.

“Ci avevano messo il paese nelle mani” dice Spatuzza, riferendosi a quando il suo boss Giuseppe Graviano gli avrebbe spiegato che con l’entrata in campo di “quello di Canale 5 e il nostro paesano” tutto si sarebbe aggiustato. Persone serie loro, spiega “u tignusu”, al contrario di quei “quattro crasti di socialisti” che si erano presi prima i loro voti e poi magari mettevano Falcone nella condizioni di colpirli ancora. Ma la “confessione tardiva” di Spatuzza (è stato arrestato da oltre dieci anni) descrive fatti con precisi riscontri? O sono ancora solo deduzioni “accadute nella mente” del pentito, come ad un certo punto ha sussurrato venerdì il presidente della Corte di Appello?

Ha parlato di “morti che non ci appartengono” Spatuzza, come per far capire che la mafia ha fatto un favore a qualcuno con le stragi del ’93 a Milano e Firenze. “Ora bisogna restituire la verità alla storia, e non mi fermerà nessuno” dice come in una recita teatrale, questa è diventata la sua “missione, in onore di tutti i morti innocenti” che lui ha ucciso. “Se io ho sacrificato la mia vita per fare del male, perché non la devo perdere per fare il bene?” si chiede per convincere la corte dell’onestà delle sue dichiarazioni.

Le rivelazioni di Spatuzza ora dovranno essere confrontate con le testimonianze dei suoi boss, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, che saranno ascoltati in corte la settimana prossima. Nessuno si può permettere il minimo errore. Nel teatro della vita, la tragedia umana della ricerca della verità e dell’ottenimento della giustizia, può sempre trasformarsi in commedia. Fino a diventare farsa per l’inettitudine o impreparazione degli attori principali.
 

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