La svolta dell'euro

Dalla Rassegna stampa

Naturalmente, noi il biglietto da un euro non lo vedremo mai. È inevitabile che, con il passare del tempo, i tagli più piccoli di banconote vengano via via sostituiti dalle monete, che durano di più e costano meno. Pur se la perdita di potere d'acquisto è lenta (la Banca centrale europea si impegna a contenerla in non più del 2% all'anno) la linea di confine tra metallo e carta piano piano si deve spostare.

In Italia rimanemmo frastornati, nel 2002, perché con il passaggio dalla lira all'euro dovemmo fare un grosso salto tutto in una volta. La moneta di maggior valore era quella da mille lire, in euro 51,6 centesimi. Ci arrivò in mano un pezzo con impresso il volto severo di Dante, di valore quasi quadruplo. Gli altri Paesi invece erano abituati a conii più impegnativi; in Francia i 10 franchi, circa 1,5 euro, in Germania i 5 marchi, 2,5 euro.

Da noi si era radicata l'idea che le monete valessero poco, un peso nella tasca e basta. Tra incertezze varie, dilagò l'imbarazzo delle mance. Con il caffè al bar prima si lasciavano in genere 50 lire; con l'euro già sembrava brutto dare 5 centesimi, benché fossero il doppio, sicché o 10 centesimi o, sentendosi tirchi, nulla.
Per l'appunto a far salire le spese, oltre alle furberie dei bottegai, erano anche meccanismi all'opera nelle nostre teste. Allo scopo di renderci più attenti, Giulio Tremonti escogitò la richiesta di stampare banconote da un euro. Chissà se sarebbero servite a qualcosa, ormai; ma era scontato in partenza che non se ne facesse nulla. Agli altri Paesi non interessano e la Bcc ha detto di no per gli stessi motivi di costo che hanno causato la decisione americana.

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