La svolta degli intellettuali: "Accusiamo Cuba"

Dalla Rassegna stampa

Una ventina di donne vestite di bianco camminano silenziose. Dall'altra parte della strada centinaia di ragazzi, uomini e altre donne inferocite. Gridano e insultano, «vergognatevi», «andate via», «viva la Revolución!».
Succede spesso all'incrocio tra la 23esima strada e la L, nel cuore dell'Avana, ed è un confronto
iniquo: dalla parte dei manifestanti più numerosi c'è anche la polizia. Le donne vengono lasciate stare, ma chi osa seguirle nella sfilata silenziosa, o grida qualcosa a loro favore, può essere fermato e portato via. Organizzata o spontanea che sia, la contromanifestazione contro le «damas de bianco» cubane è una misura triste: vuole mostrare l'enorme squilibrio che tuttora esiste sull'isola tra chi appoggia il regime, o è rassegnato allo status quo o comunque non intende far nulla per cambiare le cose, e chi invece crede che la libertà di espressione sia un bene irrinunciabile.
Sono giorni tesi a Cuba e la tradizionale sfilata di madri e parenti dei detenuti politici non passa inosservata. E' appena morto un dissidente per sciopero della fame (Orlando Zapata), un altro, Guillermo Farinas, è ricoverato in ospedale e rischia la stessa fine. Ieri ha fatto appello al governo italiano, tramite una intervista all'Ansa: Roma dovrebbe condannare Cuba indipendentemente dalle posizioni comuni europee. Si tratta poi di un anniversario di peso: sette anni fa iniziava la cosiddetta «primavera nera», la stretta inattesa del regime contro il dissenso. Sogno dei dissidenti è ora dar vita a una settimana di manifestazioni e proteste, qualcosa che non si è mai visto in mezzo secolo di rivoluzione. Quell'anno vennero arrestati in 75, alcuni portandosi in carcere condanne pesanti; qualche giorno dopo i responsabili del dirottamento di un traghetto vennero addirittura fucilati. La comunità internazionale reagì e l'Unione europea decise sanzioni, seppure blande, contro il governo di Fidel Castro. Poi queste misure vennero gradualmente smantellate, in nome del turismo e dell'intercambio commerciale.
Quell'anno, era il 2003, fu la Spagna dell'allora premier di destra José Maria Aznar a guidare il fronte delle pressioni. Allo stesso modo, di recente, è stato il suo successore Zapatero il principale fautore del disgelo verso l'isola. I rapporti privilegiati con Madrid rendono dunque di particolare peso le 6.000 firme raccolte in questi giorni in Spagna, sotto il titolo di «Io accuso il governo cubano», un documento al quale hanno aderito numerosi nomi della cultura non sospettabili - per usare l'espressione tipica - di essere al soldo degli Stati Uniti o della mafia di Miami. Pedro Almodóvar, Willy Toledo, Miguel Bosé, Fernando Savater, Mario Vargas Llosa sono alcuni dei nomi peri quali è necessaria la «liberazione immediata e senza condizioni» dei detenuti politici a Cuba.
La fine di Orlando Zapata è la conseguenza, dicono i firmatari, della sua ingiusta carcerazione e delle brutali torture alle quali è stato sottoposto. Per l'Avana si trattava invece di un detenuto comune. Nulla di nuovo, si dirà. Ma perché proprio adesso si sono riaccesi i riflettori su Cuba e il dissenso? Gli scioperi della fame sono un fattore, poi c'è l'attività frenetica dei blogger, sostanzialmente tollerata, che dà molto risalto all'estero ad azioni anche minime. Ma tra le cause di turbolenza resta al primo posto il crollo delle speranze di cambiamento dopo il cambio della guardia tra i fratelli Castro. Cuba attraversa una crisi economica più profonda del solito e non ci sono da tempo segnali di apertura.
Secondo la rivista Newsweek, Fidel Castro avrebbe ripreso saldamente in mano le redini del potere, imponendo propri uomini per controbilanciare le tentazioni di apertura del fratello Raúl. Ipotesi plausibile, dato che ormai si dà per scontato che la malattia che ha costretto il líder màximo al pensionamento non fosse davvero nulla di grave.
 

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