Svolta all'Onu: Si all'acqua nel diritti umani fondamentali

Il voto nel Palazzo di Vetro di New York è arrivato quando da noi era notte fonda. Dopo quindici anni di dibattiti e controversie, l'Assemblea generale dell'Onu ha approvato una mozione con cui si riconosce l'acqua un diritto umano fondamentale. Nessun Paese ha osato votare contro, ma 41 Stati - tra cui gli Stati Uniti, il Canada e numerosi europei tra cui spiccano la Gran Bretagna, la Grecia, l'Olanda e la Svezia - hanno preferito astenersi. E lo stesso hanno fatto alcuni africani come il ricco Botswana, la povera l'Etiopia, il Kenya. La mozione ha comunque ottenuto 122 sì sui 192 scranni dell'aula. Una bella vittoria per la Bolivia, Paese proponente, che corona così dieci anni di battaglie per l'acqua come diritto e bene comune da difendere. Non si tratta di una risoluzione, quindi non è vincolante. Ma si riconosce in questo modo una legittimità universale ai movimenti che si battono contro l'accaparramento delle risorse idriche da parte delle grandi multinazionali, dagli indios di Cochabamba ai comitati italiani che hanno raccolto 1 milione e mezzo di firme per il referendum contro la privatizzazione degli acquedotti, che infatti festeggiano. L'ambasciatore boliviano alle Nazioni Unite, Pablo Solon, parla di un «passaggio storico» e ne chiede ora un'effettiva applicazione. In base ai dati Onu, sono 884 milioni gli esseri umani nel mondo non hanno accesso all'acqua potabile e addirittura 2 miliardi e mezzo le persone costrette a vivere senza servizi igienico-sanitari quando - sempre secondo gli studi Onu - la prima risorsa per evitare il peggioramento della qualità dell'acqua è proprio una fognatura e dell'acqua per lavare. La mozione parla infatti non solo dell'acqua da bere ma anche dei servizi fognari come diritto umano. Ed è proprio questo riferimento che ha convinto il governo liberal-conservatore di David Cameron a non votarla. Il rappresentante di Londra si è battuto come un leone per eliminare il riferimento ai bagni e ai servizi igienici. Senza riuscirci. Un altro governo conservatore come quello primo ministro canadese Stephen Harper ha argomentato il suo «ni» per il timore di essere costretto a condividere le ampie risorse idriche con i vicini Stati Uniti. Una scelta che gli ha scatenato contro le critiche feroci del Partito democratico. Al signor Harper - lo rimbrottava ieri il responsabile Ambiente, Paul Dewar, da Ottawa - a cui piace parlare con grande retorica della salute dei bambini, lo sa che per mancanza d'acqua pulita muoiono ogni giorno 4mila bambini?».
L'ATTEGGIAMENTO DEGLI USA
Quanto agli Stati Uniti d'America, l'ambasciatore John Sammis ha spiegato l'astensione a nome del presidente democratico Barack Obama con la volontà di non interferire nel processo in corso a Ginevra, sotto l'egida del Comitato per i Diritti umani, per definire un accordo più vasto che inglobi anche il diritto all'acqua. La mozione boliviana per Sammis sarebbe «fuorviante» perché prevede un diritto all'acqua e ai servizi igienici che «non trova rispondenza nei trattati internazionali». Una spiegazione che lascia perplessi. Soprattutto quando contestualmente il leader della maggioranza al Senato, Harry Reid, annuncia - lo ha fatto la settimana scorsa - il definitivo fallimento di ogni compromesso parlamentare sul «climate bill»: la legge per ridurre i gas serra e l'anidride carbonica che il presidente Obama avrebbe voluto portare «in dono» al summit sul cambiamento climatico a fine novembre a Cancun, in Messico. L'unico che crede ancora nella possibilità di ottenere una legislazione ambientale negli Usa prima della fine del primo mandato di Obama è l'ex vice presidente Al Gore. L'occasione mancata con il non voto di ieri sull'acqua al Palazzo di Vetro sembra dargli torto.
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